«Se ho avuto paura? Sì, non lo nego. Ma cerco di mantenere i nervi saldi ». A capo di un impero editoriale che è anche storia della cultura europea, Carlo Feltrinelli racconta le difficoltà del mondo del libro travolto dalla pandemia. «Per la prima volta in sessantacinque anni si sono spente le luci di tutte le nostre librerie: un buio improvviso, per me inimmaginabile».
Dove sta trascorrendo questo periodo?
«A Milano, la maggior parte del tempo in redazione, nella sede di via Andegari dove c’è ancora lo studio di Inge. Ne ho approfittato per mettere in ordine le sue carte, i libri, le biografie di scrittori e publisher internazionali».
Come se volesse rifugiarsi in un mondo sicuro.
«No, non cercavo rifugio né distrazione. Ma è stato un modo per immergersi in una formidabile officina di lavoro e intelligenza. Mai come in questo passaggio storico occorrono idee, progettualità, lungimiranza».
Ha mai pensato in questi giorni: se ci fosse Inge…
«Spesso. Con lei ho vissuto stagioni altamente drammatiche, certo non paragonabili a questa. E continuo a portarmi dietro il suo ottimismo. Penso che sarebbe qui con me, con la casa editrice, a incitarci: non mollate, andate avanti. Ho i cassetti pieni di suoi bigliettini: andrà tutto bene».
Qual è stato il momento in cui si è reso conto della gravità della pandemia?
«Quando ho dovuto chiudere la Fondazione di viale Pasubio, un luogo animato quotidianamente da centinaia di ragazzi: vedere quell’edificio spento, in una Milano spettrale, è stato l’istante in cui mi è caduto addosso il peso del disastro».
Qual è stata la sua prima preoccupazione?
«Ho pensato agli amici, ai conoscenti. Al dolore delle comunità più colpite.
In queste settimane ho perso dei vecchi amici come Vittorio Gregotti e Aberto Arbasino, anche se nel suo caso il coronavirus non c’entra. E soprattutto ho pensato alle duemila persone che lavorano con noi».
Sta pensando a tagli?
«Adesso non stiamo proprio ragioniamo in questi termini».
Come ragionate?
«Da editore cerco di mantenere i nervi saldi. E da quando è cominciato il lockdown, abbiamo trasferito sull’online i contenuti che sono tipici delle nostre librerie: incontri con gli autori, reading, proposte di intrattenimento colto. Li abbiamo adattati ai linguaggi social e digital, con un successo insperato. Tanto che stiamo lavorando per il prossimo anno a un’unica piattaforma digitale che unisca il sito di ecommerce Ibs e quello di Feltrinelli.it: una grande proposta di libri, cultura e intrattenimento che possa essere un’alternativa ad Amazon».
In tanti hanno spostato la proposta culturale sul digitale. Ma ritiene che possa mai sostituire l’incontro fisico della comunità dei lettori?
«No, non lo credo. Le librerie restano fondamentali, anche se mi piace immaginarle integrate con la dimensione digitale. Andare in libreria rimarrà un gesto importante per milioni di persone.
Continueremo a fare del nostro meglio per renderle sempre più accoglienti e stimolanti».
In questi giorni si discute molto sull’opportunità di aprirle.
«La ripartenza è liberatoria, ma va affrontata con cautela, per tutelare la salute di pubblico e di librai. Giusto quindi aprirle, ma non vorrei si cadesse in un eccesso di folclore nel dirlo, quando poi i librai di tutta Italia si vedono costretti a navigare a vista, tra regole, decreti, sanificazioni e buon senso. Ripartire è necessario e noi lo stiamo facendo con tempistiche diverse a seconda delle regioni».
Come sono state le prime reazioni?
«Molto incoraggianti. File ordinate di lettori affamati di libri e felici di questo ritorno alla semi-normalità.
Dalla storica libreria pisana, la prima della catena aperta nel 1957, mi hanno mandato la fotografia di una stupenda pergola di glicine. Mi è sembrato di buon auspicio. Anche se non nascondo che ci aspetta una fase molto difficile».
Come pensa di affrontarla?
«Vedo la Feltrinelli come una piattaforma integrata che lega la dimensione editoriale a quella libraria, sia digitale sia fisica, con lo sviluppo della formazione che coinvolge la Scuola Holden ma anche un progetto nuovo che lanceremo in autunno. Sopra a questo la Fondazione Feltrinelli, che segna la rotta della ricerca rispetto alla svolta culturale prodotta dalla pandemia.
Mi sembra un progetto unico che non ha eguali in Europa».
Le stime dell’osservatorio dell’Aie per il mercato del libro sono terribili: 18.600 titoli in meno, per un danno complessivo di oltre quaranta milioni di copie sottratte al mercato. Il presidente Ricky Levi ha lamentato la disattenzione del governo, che non ha incluso il libro nel decreto Cura Italia.
«Servono gli aiuti finanziari, ma i soldi non bastano. Occorrerebbe aprire un serio tavolo di crisi che metta insieme tutte le diverse componenti del mondo del libro e le istituzioni pubbliche. Quel che manca in Italia – ancora prima della pandemia - è una strategia di sistema che sappia tenere insieme le diverse esigenze».
In questi ultimi anni l’editoria italiana è apparsa molto divisa al suo interno.
«Ora è necessario unire le forze. Quello culturale è un settore fragile e insieme di straordinaria importanza. Costruisce giorno per giorno il futuro delle persone e della comunità. E non possiamo farne a meno.
Spero che il governo faccia la sua parte».
Crede anche lei che usciremo dal coronavirus diversi?
«Io spero che ne possiamo uscire tutti immunizzati.
Certo la pandemia ci ha messo di fronte a uno scenario inedito che impone varie riflessioni.
La prima riguarda la necessità di un patto nuovo tra il sapere e i decisori pubblici: è un’acquisizione importante dopo un periodo segnato dal disprezzo per le competenze».
Questo rapporto tra scienza e politica è stato messo in campo dall’attuale governo.
Come lo giudica?
«Penso che, considerata la nostra impreparazione, si è tentato di fare il possibile di fronte a uno scenario inaudito. Ora bisogna guardare alla ricostruzione».
Cos’altro abbiamo imparato dal coronavirus?
«Per quanto siamo impastati di tecnologia e di posthuman, in realtà siamo biologia, animali umani. E non siamo soli. L’umanità che oggi vediamo minacciata dal virus è parte di una comunità di viventi più ampia. Dimenticarcene può produrre gli effetti letali a cui stiamo assistendo».
Quale sarà il suo primo gesto da editore libero da lockdown?
«Abbiamo lavorato in queste settimane per riuscire a stampare per il 25 aprile il libro curato da Gad Lerner e Laura Gnocchi con le testimonianze di quattrocento partigiani. Quella della Liberazione è una data fondamentale, che ha segnato la rinascita della libertà e la ricostruzione democratica del nostro paese. Alla luce del sacrificio delle libertà individuali e collettive che stiamo vivendo in questi giorni, mi sembra un ottimo libro da cui ripartire».