Tuttolibri, 18 aprile 2020
Diario di scrittura di Paolo Guzzanti
Il virus e l’eros, mescolare ma non shakerare: vivi e ama, ma a contatto della fine, navigando a vista tra speranza e inganno. L’idea è di Lidia Ravera, questo spirito folletto che mi aveva proposto l’ingaggio durante l’estate per far parte, unico uomo, di un equipaggio di donne vere autrici già in libreria con le storie del Terzo Tempo che narrano l’amore dopo i 65, purché a lieto fine, non si accettano mutazioni. Per quel progetto, peste nera permettendo, sto ancora scrivendo la mia storia di Tello e Danielle esfiltrata – come si dice delle spie fatte uscire dal paese nemico arrotolate in un tappeto – da un mistero della mia vita. Il fatto è che, giunto alla soglia degli ottanta, ho scoperto di avere una collezione di casi irrisolti. D’amore, ma irrisolti. Come un vecchio detective. Uno degli ultimi è un mio doppio sogno in cui sognavo una donna che voleva sedurmi dopo essersi fatta aiutare a portarle la spesa in casa dove io però urtavo un grosso libro che cadeva con un tonfo, svegliandomi. Così scoprivo che era caduto proprio il libro che avevo sul mio letto e mi trovavo banalmente nel mio letto. Il sogno era stato così autentico e promettente da farmi detestare la mia sbadataggine che svegliandomi mi aveva fatto perdere un’avventura tenera e promettente. Ma, una volta accesa la luce, vidi che la deliziosa sconosciuta era ancora lì, nel sogno interrotto, e mi supplicava di abbassare quella maledetta luce. In questi giorni di lockdown il compito era scrivere una storia con gli stessi ingredienti – età oltre i 65, amore e lieto fine - ma all’interno della epidemia del Covid19 e dunque nella paralisi dei gesti e degli incontri. Unica via d’uscita? Amanti nell’edificio? Flirt con l’infermiera che tifa il tampone (o l’infermiere)? L’idraulico della scala accanto al soccorso delle tubature? La storia d’amore perfetta mi è sembrata quella di un amore irrealizzato ma reale e attivo. Come? attraverso un dialogo elettronico con cui rianimare un antico amore e disamore, con rivelazioni di tradimenti, rimpianti derisi e scoraggiati, e più che altro la memoria dell’eros telefonico transoceanico, sussurri e grida quando è lecito mentire, barare, fingere orgasmi e deliri. Tutti ricordano ma negano, ognuno deve sistemare il mai accaduto, realtà o irrealtà, menzogna o sortilegio, prendere o lasciare.
Rivedersi per caso dopo decenni una sera a cena proprio alla vigilia degli arresti domiciliari di massa, andare a caccia di memorie condivise ma separate, il tentativo di ricostruzione di quel che all’epoca non accadde, può essere il groviglio giusto. Ma non, per favore, un labirinto. I labirinti sono overrated: troppi simboli, troppe Arianne e Minotauri a zonzo in un’abboffata di significati nascosti, già dato, grazie. Il groviglio, invece, è eroticamente quantistico: è travestito da causalità e impone - fresco di creazione - un nuovo universo. O meglio un multiverso in cui accade prima di tutto ciò che il nostro universo impediva. Nella letteratura dei telefilm, hanno dovuto inventare un oggetto inesistente, il «portale» oltre il quale si viaggia nel tempo o nell’universo più prossimo in cui – come accadeva nella serie «Fringe» - sulla banconota da venti dollari c’è l’immagine di Martin Luther King. Grazie al mio sogno doppio avevo un portale da usare, l’avevo sperimentato, era mio. Quanto a lei, tutto vero: l’avevo rivista, con marito che giurava di essere stato il mio miglior amico in un’adolescenza rimossa e mentre un primo ministro annunciava gli arresti domiciliari universali, ci trovavamo in una elegante trattoria in cui quando facevo l’operaio tipografo (versavo il piombo fuso nelle Linotype) andavo mezzo secolo fa a mangiare due uova al tegamino, bevendo acqua frizzante Idrolitina del cavalier Gazzoni.
E lì, essendomela trovata accanto dopo quasi quarant’anni, ero stato indisciplinato e felice, inappropriato e maleducatissimo. Però, ero preoccupatissimo per quel che avrebbero detto le ragazze del gruppo di Lidia Ravera, la quale, essendo anche molto disciplinata mi ricordava la comandante delle ragazze aviatrici in Goldfinger, secondo o terzo 007 dei miei anni Sessanta. Benché il mio romanzo sull’amore rimesso in cammino fra Tello e Danielle sia ancora in fattura (per colpa del Covid19 che ha sparigliato tutto rallentandomi) so di muovermi in un contesto di sole donne che scrivono come donne e di cui avverto sia la diversità che l’attrazione, benché io appaia come un bruto. E questo mio bruto, nel dialogo finale degli Incontri Ravvicinati non ne vuole saperne di perdere la donna amata dimenticata ma riemersa come un sottomarino in cerca d’aria. Con lei, riemerge un passato che ognuno ricordava a modo suo. Non siamo forse unici e irripetibili? Non c’è una memoria condivisa ma solo una febbre che brucia ricordi. Ed arriva il giorno stesso il lockdown, il golpe degli amori agli arresti. Intanto, l’alieno virus ci aggancia e si rifà il look replicandosi nei nostri polmoni. Così, l’impossibilità diventa un charachter, un personaggio nemico e non un fondale di scena, come da sempre per tutti gli amori durante le occupazioni di guerra, gli apartheid, i rapporti fra padrone e schiavo, tra sano e malato, fra bianco e nero, giovane e vecchio, maschio e femmina e tutti gli sciamo di amori trasversali.
In Tello e Danielle esploro la riemersione: la ragazza che chiese come atto di cortesia, ma senza – per favore! – alcun seguito, di essere liberata dall’impaccio della verginità con conseguenze che riaffiorano come mine antiuomo sotto forma di domande in cerca di risposta creando nuova energia. Mi rendo conto di razzolare fra amori già avvenuti ma non morti, perché so che gli amori, i veri amori, non sono mai morti. Sono come vampiri storditi che chiedono una occasione, una sola, per tornare. Forse, questo è il mio minuscolo marchio, l’amore vivo nella terza vita che, imperterrito, spinge con forza verso Incontri Ravvicinati altrimenti incolmabili perché non si può ignorare l’invecchiamento, ma lo si può decifrare lentamente con meraviglia senza ripetere l’antico. Sapete che vi dico? Se va, va.