Tuttolibri, 18 aprile 2020
La cooperazione animale, dai gamberi ai roditori
Edward O. Wilson è stato un indiscusso protagonista della cultura scientifica novecentesca. Uno dei «grandi vecchi» delle scienze biologiche e naturali statunitensi (e mondiali) nel senso autentico della parola, diventato professore a Harvard ad appena 29 anni, inventore del termine «biodiversità» e vincitore di ben due premi Pulitzer per la saggistica. Nonché il creatore, alla metà degli anni Settanta, della sociobiologia, la neodisciplina (molto discussa e controversa) che proponeva il paradigma unificante su basi biologico-evoluzionistiche dei comportamenti sociali della totalità delle specie animali, uomo incluso ovviamente. E che, a partire dalla tesi secondo cui ciascun atto sociale umano possiede dei fondamenti di tipo biologico, si era proposta come grand theory definitiva.
Oggi, che ha più di novant’anni, Wilson si ritrova ad avere ancora parecchio da dire, come dimostra questo libro (con la prefazione di Telmo Pievani), nel quale ritorna sulla prospettiva interpretativa sociobiologica – in una chiave anch’essa, a sua volta, «evolutiva» e molto meno deterministica – e ripropone il suo modello unificante di lettura delle società degli animali (mammiferi e non). Le origini profonde delle società umane, come si intitola il testo (che può venire considerato come un compendio molto leggibile del suo pensiero), si collocano in quelle delle specie non umane, di cui per il biologo e naturalista americano si devono quindi ripercorrere le storie evolutive in tutta la loro complessità e dispiegarsi nel tempo. Così come si devono osservare con molta attenzione e scrupolosità quelle che i biologi chiamano le «grandi transizioni», perché natura facit saltus (a differenza di quanto pensavano Leibniz e Linneo, insieme agli antichi), e nel procedere lento dell’evoluzione si generano alcuni scatti formidabili che riscrivono le caratteristiche della vita organica seguente. Tutti sostanzialmente accomunati da un «format» equivalente: quello per cui alcuni degli attori biologici mettono insieme le forze e procedono a una riduzione deliberata della propria autonomia per cooperare, producendo per l’appunto un salto di scala evolutiva, con un incremento della complessità biologica e delle chance di sopravvivenza e riproduzione. Chiaramente, senza che si debba considerare la cooperazione come buona di per sé, ci mette in guardia il fondatore della sociobiologia, perché le categorie etiche e morali non c’entrano con la natura. Dalle agglomerazioni di batteri agli stormi di uccelli, dalle colonie di formiche alle società degli esseri umani: si tratta dei «superorganismi» (una categoria che il naturalista americano ha contribuito fortemente a codificare) che costituiscono i «manifesti viventi» di questa spinta verso l’aggregazione esistente in natura. Wilson si può infatti considerare come un cantore dell’eusocialità, il concetto che racchiude il grado elevato di organizzazione sociale di alcune specie animali, e che risulta debitore delle nozioni darwiniane di evoluzione della flessibilità dei geni e di selezione di gruppo.
Solamente 17, per la precisione, rappresentano le situazioni che sono state identificate dalla scienza come quelle generatrici di società complesse fondate sui caratteri di cooperazione e altruismo. E lo studioso ci ricorda che su un milione di specie di insetti sono esclusivamente 20mila quelle con tratti eusociali. La testimonianza del fatto che il cammino evolutivo alla volta dell’aggregazione si rivela strutturalmente disseminato di ostacoli, e può venire interrotto a causa della ricomparsa (e del sopravvento) di una pletora di egoismi individuali. Secondo Wilson, l’evoluzione corrisponde in buona sostanza a un «affare di compromessi» fra interessi differenti e conflittuali, in un contesto per cui l’egoismo del singolo e il potere del gruppo arrivano a una serie di forme instabili di bilanciamento, e sviluppano vari gradi e livelli di eusocialità che costellano il processo che conduce al salto di scala evolutivo. Pertanto, alla base dei comportamenti collaborativi dell’umanità si dovrebbe ravvisare la minaccia di un nemico, da cui deriverebbe la ragione per la quale gli individui risultano portati all’altruismo nei confronti di chi reputano un componente del gruppo e della tribù (il «noi»). E, invece, si collocano in una posizione difensiva nei confronti di coloro che sono percepiti come gli «altri».
Altruismo e conflitto come due facce dello stesso «medaglione» evolutivo: ed è in questo equilibrio – dinamico e problematico – fra le dinamiche interne e quelle esterne al gruppo che si collocherebbero, quindi, i fondamenti biologici del conformismo e del settarismo. Quelli che accompagnano l’Homo sapiens africano, il progenitore dell’umanità, dalle adunate serali intorno al fuoco negli accampamenti sino agli odierni social network. Con la carne cotta al centro del focolare, il racconto delle storie e l’espansione delle interazioni sociali quali startup del salto evolutivo nella direzione sociale della nostra specie. E in questo agile volumetto, Wilson, esponente di primissimo piano del pensiero neo-evoluzionista del Secolo breve, dà un’ulteriore prova del suo allontanamento dalle versioni semplicistiche e più dogmatiche della «sua» sociobiologia.