La Stampa, 18 aprile 2020
Il modello svedese spiegato dalla ministra degli Esteri
C’è stato un momento in cui la Svezia si è trovata al centro della tempesta perfetta. I contagi si moltiplicavano, ma le immagini che arrivavano da Stoccolma, Malmö, Göteborg mostravano bambini che giocavano nei parchi, ragazzi che sorseggiavano vino nei dehors, coppie di amiche a passeggio. Nel resto del mondo strade deserte, mascherine, auto della polizia a presidiare le città – vuote – mentre gli altoparlanti urlavano: «State a casa». Vista attraverso le lenti della quarantena globale la strategia del Paese scandinavo sembrava una provocazione. La tempesta non è ancora finita: la Svezia è sotto i riflettori – e al centro delle polemiche - per le misure di contenimento («troppo blande»), imbrigliata in una serie di fake news che accusano Stoccolma di voler far morire gli anziani – in una sorta di darwinismo sociale – o che vorrebbero inchiodare il premier a fantomatici mea culpa e tentennamenti nella lotta al virus. I dati, quelli sono certi: le vittime sono arrivate a 1.400, i casi 13.213, sebbene la linea si stia appiattendo. Ed è chiaro che puntare sul contenimento dell’epidemia e sull’immunità diffusa è una scommessa rischiosa, tanto più quando la strategia controcorrente degli svedesi sembra attirare facili critiche tra chi li considera degli ingenui e chi, invece, è convinto che soffrano della sindrome da primi della classe. «Ma ora è decisamente arrivato il momento di spiegarvi come pensiamo e lavoriamo in Svezia». La ministra degli Esteri Ann Linde è tesa, stanca, ma non ha perso il sorriso.
Ministra, perché la Svezia è sotto accusa?
«Abbiamo gli stessi obiettivi di qualsiasi altro Paese al mondo: salvare vite e proteggere la salute pubblica. Lottiamo contro gli stessi problemi, e usiamo gli stessi strumenti per tentare di arginare e fermare il virus. Ovvero promuoviamo la distanza sociale, proteggiamo gli anziani e i gruppi a rischio, abbiamo rafforzato il sistema sanitario e aumentato il numero di test ».
É stato detto che in Svezia dallo scoppio della pandemia non è cambiato nulla. É vero?
«É una leggenda, la vita degli svedesi è cambiata eccome. Basta guardarsi attorno: la gran parte delle persone sta a casa, i viaggi si sono ridotti del 90%, i lavoratori che possono applicano lo smart working, molte aziende e negozi hanno deciso di chiudere. Chi esce rispetta la distanza sociale».
Ma non è stato dichiarato il lockdown...
«No. Vede, è proprio qui la grande differenza, quello che forse rende difficile comprendere la strategia svedese. Abbiamo una combinazione di "consigli" e norme vincolanti, come quelle che vietano le visite alle case di riposo e i raggruppamenti oltre le 50 persone. Ma il governo non costringe nessuno a stare a casa o mantenere le distanze, lo consiglia soltanto. E gli svedesi lo fanno».
Una strategia basata sulla fiducia, insomma?
«Esatto, è proprio questa la chiave. Le autorità si fidano degli svedesi e gli svedesi si fidano delle autorità. Qui sono gli scienziati che guidano le scelte della politica, non il contrario. È da 400 anni che in Svezia funziona così, e non è un caso che il tasso di corruzione sia tra i più bassi al mondo. Che ci chiamino pure ingenui, ma è la fiducia la base della nostra società. Le faccio un esempio: i vaccini in Svezia non sono obbligatori, ma il 97% dei bambini sono vaccinati».
Non avete paura di aver preso la decisione sbagliata non scegliendo il lockdown come l’Italia, per esempio?
«Abbiamo paura, certo. In questa situazione ogni scelta può essere quella sbagliata. Ma siamo così sicuri che chiudere interi Paesi sia la scelta giusta? I nostri scienziati non ne sono certi, e il rischio di ondate di ritorno è alto. La Svezia sta cercando di scegliere la strada che abbia il minor impatto possibile sulla salute pubblica. Vietare alle persone di fare una passeggiata all’aria fresca, rispettando le distanze, può nuocere di più che chiuderle in casa per mesi? La nostra cerca di essere una strategia a lungo termine».
Vale a dire?
«Strategie sostenibili. Alcuni studi prevedono che ci libereremo completamente dal virus nel 2022. Vi sembra praticabile tenere in quarantena stretta un intero Paese per così tanto tempo? I Paesi che hanno deciso per il lockdown stanno studiando come uscirne, come iniziare la fase 2, noi no. Noi possiamo andare avanti così fino al 2022 se necessario».