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 2020  aprile 18 Sabato calendario

Ritratto di Albert Einstein

Oggi è il sessantacinquesimo anniversario della morte di Albert Einstein. Di lui non vogliamo, né potremmo, commentare le opere. Semmai ci inchiniamo ossequienti, come il Poeta del 5 Maggio, davanti alla figura del più grande intelletto del ventesimo secolo, il cui nome è diventato sinonimo di genialità. Einstein dispose che dopo la sua morte il suo cervello fosse affidato ai patologi, se mai potessero cavarci qualcosa di interessante. L’organo, o quel che ne rimane, è oggi conservato a Princeton, macabro simbolo residuale della nostra precarietà. In attesa che un nuovo Federico Ruysch lo faccia un giorno parlare, ci limitiamo ad ammirarne i prodotti, che non furono limitati alla fisica teorica. Einstein fu infatti a modo suo anche un filosofo, e quantunque isolato nel suo campus universitario tra libri e formule, interferì, ad un certo punto, anche con la politica, sollevando problemi sul rapporto tra quest’ultima, la scienza e l’etica. Problemi che oggi, in piena epidemia, sono tornati di attualità. 
Einstein, ebreo, non praticò mai la fede dei suoi padri, e sulla religione in genere manifestò idee non classificabili secondo i parametri consueti. Non credeva in un Dio personale, né in una Provvidenza soccorrevole, né alla nostra anima immortale. Tuttavia ripudiava l’etichetta di ateo o di panteista. La sua era un religiosità radicata nella osservazione della Natura, nel rigoroso studio delle sue leggi immutabili, e nella riverente stupefazione davanti ai continui misteri che si rivelano agli occhi del ricercatore. 

IL PESSIMISMO
Einstein non era uno Spinoza e nemmeno un Bolinbroke; era piuttosto un Pascal senza le tensioni esistenziali del giansenista, e senza il sacrificium intellectus suggerito da Agostino. 
Anche in politica il suo atteggiamento fu complesso. Fu certamente un accanito antinazista, e dopo qualche effimera simpatia rimosse ogni tentazione comunista. Nutriva verso la natura umana un pessimismo profondo, che lo indusse a rifugiarsi in un utopismo vago e solidale, senza mai impegnarsi in modo netto e definitivo. Era orgoglioso di essere ebreo, ma diffidava del sionismo e rifiutò la carica di Presidente di Israele; era pacifista, ma si sottrasse cautamente agli appelli di vari intellettuali quando sospettò che fossero ispirati – come in effetti erano – dai manutengoli di Stalin. Detestava le armi, ma indirizzò a Roosevelt la famosa lettera che lo avvertiva dei progressi tedeschi nella costruzione della bomba atomica. Fu qui che il distratto professore interferì con la politica. Anche se poi si oppose all’impiego dell’ordigno, sapeva bene di esserne stato lui il primo artefice, e non solo per le sue ricerche teoriche: senza quella lettera, infatti, la bomba non sarebbe stata costruita, o almeno lo sarebbe stata molto più tardi. E questo ci riporta alla questione iniziale: i rapporti tra la scienza e la politica. 

L’ARTE
La scienza studia la Natura, ed entrambe hanno in comune l’attributo della neutralità, senza contaminazioni di ordine etico, filosofico o religioso. Hanno in sé stesse, come l’arte e la virtù, la loro giustificazione. Quando la Terra, assestandosi per rimediare a uno squilibrio tettonico, distrusse Lisbona con un maremoto, morirono i poveretti dei quartieri bassi e si salvarono i ricchi sulle colline. Voltaire, annichilito da tanta tragica assurdità, concluse amaramente che se Dio esisteva, certo non si occupava di noi. In effetti, imputare questi disastri a una divinità è quasi blasfemo, perché significherebbe attribuirle o la malvagità nel provocarli o l’impotenza nel non saperli impedire. Se questa è la Natura, altrettanto è la scienza: né buona né cattiva. Si limita a osservare i fenomeni senza pregiudizi né emozioni, elaborando ipotesi e costruendo teorie, mirando alla loro conferma o, come meglio ha detto Popper, alla loro falsificazione. Saranno sempre risposte provvisorie e parziali, ma, come per la democrazia di Churchill, gli altri sistemi sono tutti peggiori. Questo tuttavia non significa che lo scienziato sia insensibile o amorale. Al contrario, proprio come Einstein, può persino trarne una vaga ispirazione religiosa. Ed è qui che il suo intervento può assumere un significato diverso e ulteriore Se Einstein si fosse limitato a redigere lo schema della fissione controllata avrebbe agito da puro scienziato. Quando suggerì a Roosevelt di servirsene per anticipare i nazisti nella costruzione della bomba agì da patriota. Ma quando Roosevelt ne ordinò la costruzione, e Truman l’impiego, agirono da politici. Nel bene e nel male, la responsabilità fu tutta loro, perché alla fine è la politica che deve decidere. 
LE RICERCHE

Con questi criteri è facile rispondere alle ricorrenti domande se sull’emergenza del Covid-19 debbano comandare gli scienziati o i politici. Gli scienziati – almeno quelli seri – ci espongono i dati acquisiti dall’osservazione e interpretati secondo le attuali conoscenze; con l’ausilio della statistica ci possono proporre modelli presuntivi, e con un’adeguata campionatura possono anticiparci il futuro, esattamente come i primi exit polls nella Est Coast ti dicono come hanno votato i Newyorkesi e persino come voteranno i californiani. Questi esperti conoscono già la trama del film, ma non ne sono né registi né attori. Poiché tuttavia gli scienziati sono, come Einstein, anche persone sensibili, spesso suggeriscono soluzioni ai problemi emersi dalle loro ricerche. Ma quando questi problemi si coniugano con altri di diversa natura, allora sta al politico scegliere le opzioni ritenute più convenienti, contemperando i vari interessi in gioco. Perché la questione è tutta qui. Se la scienza medica ti insegna che la diffusione dell’epidemia è direttamente proporzionale alla frequentazione sociale; se la scienza economica ti ammonisce che, oltre un certo limite, l’intera struttura nazionale collassa e chi non morirà di virus morirà di inedia; se la scienza psichiatrica ti avverte che un eccesso di reclusione coatta in ambienti ristretti e promiscui può scatenare violenze; se, insomma, ogni disciplina dà una risposta diversa, perché diverse sono le domande che le vengono rivolte, allora dovrà esser la politica, e solo la politica a indicare la via da intraprendere. 
IL SACRIFICIO

A questo dovere se ne accompagnerà un altro, anche più importante: spiegare ai cittadini, in modo chiaro e distinto, la ragione del sacrificio di un’opzione in favore di un’altra ritenuta più vantaggiosa. Sarà un compito difficile, come quello di Roosevelt quando decise di assecondare la richiesta di Einstein e di costruire l’arma fatale, vincendo le resistenze di chi gli prospettava l’immoralità di un simile ordigno. Ma è un compito esclusivo, che non può essere devoluto a nessun altro: né ai medici, né agli economisti né ai sociologi. E tantomeno, Dio ce ne guardi, alla Magistratura.