il Fatto Quotidiano, 17 aprile 2020
Una Bce senza limiti sarebbe impotente
Un gruppo di 101 economisti ha firmato un appello su MicroMega per criticare le proposte anti-crisi elaborate da Eurogruppo e Commissione europea e proporre una soluzione che piace a tanti: “Il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Banca centrale europea”. La Bce, per la verità, è già impegnata a comprare titoli di Stato, ma soltanto sul mercato secondario, cioè dalle banche e dagli investitori che a loro volta hanno comprato i titoli alle aste dei Paesi membri. I trattati europei stabiliscono che la Bce non possa finanziare direttamente gli Stati. Per i 101 “i trattati possono essere sospesi” e l’Italia deve pretendere un cambiamento di mandato per la Bce e, in caso di rifiuto “fare da sola”. Cioè uscire dall’euro, si deduce, perché la minaccia di emettere debito a tassi di mercato e senza aiuti equivale a una resa.
Altri Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o il Giappone, hanno Banche centrali con mandati più estesi, prodotto di storie e sistemi finanziari diversi. Non sono storie solo di successo: la politica monetaria giapponese è reduce da trent’anni di fallimenti negli stimoli a una economia stagnante; quella americana ha alimentato la crisi del 2008. Ma stiamo all’Eurozona. La ragione per la quale la Bce è così efficace è proprio la sua indipendenza dalla politica e la separazione dagli Stati membri. Le decisioni del Consiglio dei governatori sono più rapide e operative di quelle del livello politico dell’Unione, dove le competenze sono distribuite tra Commissione, Parlamento, Consiglio (il coordinamento tra governi), proprio perché non sono decisioni politiche.
L’efficacia della Bce dipende dall’indipendenza e l’indipendenza si giustifica con un mandato limitato: la Bce può comprare 750 miliardi di euro di titoli come risposta alla pandemia senza passare da alcun Parlamento perché quell’azione rientra nel suo mandato, che è mantenere la stabilità dei prezzi (evitare inflazione e deflazione) e tutelare il sistema dei pagamenti, cioè prevenire fallimenti bancari a catena, crisi di fiducia che ridurrebbero l’offerta di credito e differenze eccessive di rendimento tra il debito di un Paese e quello di un altro che rendono impossibile trasmettere gli impulsi di politica monetaria.
La proposta dei 101 va oltre: finanziare direttamente il debito degli Stati sposterebbe la Bce nel campo della politica fiscale. Collega la creazione di denaro a scelte come quante tasse si raccolgono e quale generazione paga quali costi. Sono state fatte rivoluzioni in nome del principio “niente tasse senza rappresentanza”: non esiste una politica monetaria che sia al contempo indipendente dalla politica e dunque rapida ed efficace, ma anche al servizio della politica, pronta a stampare tutto il denaro che serve per finanziare qualunque esigenza dei governi dell’euro, dal salvataggio di Alitalia a quello delle banche regionali tedesche.
Ammettiamo per un attimo che tutta la letteratura sulla superiorità delle Banche centrali indipendenti sia superata (il rischio di inflazione non è piu la priorità).
Sottomettere la Bce alla politica non significa metterla al servizio della politica italiana, ma di quella europea. Cioè spostare le decisioni sui tassi e gli acquisti di titoli in quella palude che è il Consiglio europeo, dove ogni decisione di interesse comune si impantana negli egoismi nazionali.
È assolutamente sensato pensare una politica fiscale comune, ma quella si costruisce per la via maestra, attraverso la condivisione di debito e di quello che sta a garanzia del debito: asset (nuove infrastrutture) o nuove entrate (raccolte a livello Ue invece che nazionale). Se presa sul serio, la proposta dei 101 di MicroMega avrebbe come unico effetto di rendere impotente anche la Bce e lasciare l’Unione indifesa di fronte alle crisi.