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 2020  aprile 17 Venerdì calendario

L’Italia nel pantano della fase 2

Spegniamo per un momento il televisore, stacchiamoci da Internet, dimentichiamo le statistiche del coronavirus – spesso imprecise e non omogenee tra loro – e proviamo ad allungare lo sguardo al di là delle Alpi. Che cosa troviamo? Scopriamo che Vienna ha riaperto il parco di Schoenbrunn dopo cinque settimane di "lockdown", mentre la gran parte dei parchi pubblici italiani è sbarrata e controllata con i droni. La Danimarca fa ripartire asili e scuole elementari, sulla stessa linea si muovono molte regioni tedesche. La Francia ha prolungato all’11 maggio il periodo di "lockdown" ma in quella data riaprirà anche la gran parte delle scuole; in Italia si dibatte se riaprirle a settembre. La Spagna – che ci ha superato nel numero dei contagi – ha riaperto i cantieri edili, in molti dei quali si lavora all’aperto, mentre in Italia sono largamente chiusi.
Parafrasando quanto ha detto il Presidente del Consiglio qualche giorno fa, si può affermare che, nella partita contro il coronavirus, l’Italia abbia giocato un primo tempo buono, forse persino esemplare. 
Gli italiani si sono adeguati in maniera inaspettatamente disciplinata alla richiesta del governo di restare chiusi in casa, hanno riscoperto la "civiltà dei cortili", i legami di vicinato e smentito l’immagine di un individualismo esasperato; si sono accorti di poter disporre di un ottimo, spesso bistrattato, personale sanitario. E non solo.
Poi, quando tutti si felicitavano ed è cominciato il secondo tempo, l’Italia ha decisamente rallentato l’andatura; i computer dell’Inps si sono inceppati, sono emersi i litigi tra governo centrale e governi regionali, tra esecutivo e opposizione, sono comparse differenze non da poco all’interno della maggioranza. Siamo diventati il Paese dei ritardi nelle forniture di mascherine e delle schede con i dati di pazienti smarrite sui computer dell’amministrazione; abbiamo ottenuto ampie assicurazioni di sostegno a livello europeo e una parte del mondo politico non vuole accettare gli aiuti perché la loro "etichetta" è sbagliata. Accanto al medico eroico è comparsa la burocrazia indifferente.
Come altre volte nella nostra storia, ce la siamo cavata nell’emergenza e rischiamo di impantanarci nella normalità. In Italia si continua a pensare al contagio mentre in molti Paesi a noi vicini si pensa già al post-contagio. Ecco perché dobbiamo smettere per un momento di seguire spasmodicamente le cifre del giorno per giorno e cominciare a riflettere sui prossimi mesi e sui prossimi anni. 
E qui, purtroppo, compaiono i limiti del Bel Paese, a cominciare dalla sua classe politica. La normalità da riconquistare è largamente intesa come un livello a cui ritornare e non come una pedana dalla quale saltare più in alto in un mondo competitivo; i prestiti alle imprese con garanzia dello Stato rischiano di venir considerati più come sussidi per restare in vita che come capitali per impostare un rilancio aziendale e che dovranno essere comunque restituiti come dovranno, dopo l’emergenza, ridursi il deficit e il debito pubblico. Di qui all’estate si gioca la partita del nostro futuro: non quello delle nostre vacanze e del campionato di calcio bensì quello del lavoro dei giovani e della loro qualità della vita, degli investimenti essenziali in infrastrutture, della ripartenza dello sviluppo. E si tratta di una partita che non possiamo permetterci di perdere.