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 2020  aprile 16 Giovedì calendario

L’India torna a esportare farmaci

L’India, la cosiddetta «farmacia del mondo» con le sue 10 mila imprese farmaceutiche, è tornata, il 7 aprile, ad esportare i medicinali prodotti nei propri stabilimenti, dopo aver congelato le vendite estere per un mese, in via precauzionale, di 13 farmaci e di altre molecole, tra le quali l’idrossiclorochina (usata nel trattamento dell’artrite reumatoide), della quale è il maggior produttore mondiale (70% del mercato). A preoccupare era l’incertezza per gli approvvigionamenti e le forniture dalla Cina, in piena pandemia. L’India è il numero uno dei farmaci generici dei quali assicura il 20% della produzione mondiale. In Europa, la priorità attuale è di disporre in maniera sufficiente di farmaci nei servizi di rianimazione.L’ok alla ripresa dell’export farmaceutico (17,5 mld gli introiti 2019) è stato deciso dal governo del premeir Narendra Modi sotto la pressione dei Paesi sconvolti dalla pandemia di Covid-19 che avevano esaurito le scorte. In particolare, sull’idrossiclorochina (la cui efficacia nel trattamento del Covid-19 non è stata ancora dimostrata) c’è stato un braccio di ferro tra Narendra Modi e il presidente Usa, Donald Trump. Gli Usa sono il primo cliente dell’India quanto a medicinali (hanno assorbito il 30,4% della produzione nel periodo tra aprile 2018 e marzo 2019, davanti al Regno Unito (3,3%), Sudafrica, Russia e Brasile. Trump aveva chiesto a Modi di rinunciare all’embargo, minacciando rappresaglie, e ottenendo soddisfazione con la ripresa delle vendite di idrossiclorochina e di paracetamolo verso 13 Paesi, tra i quali, oltre agli Usa, perlopiù, anche Brasile, Germania, Spagna, Bangladesh e Afghanistan.
Il 3 marzo, quando in India i contagi si contavano sulle dita di una mano, il governo Modi aveva deciso di sospendere le vendite all’estero di paracetamolo, vitamina B1, B6, B12, di antivirali (aciclovir) e di antibiotici sotto forma di principio attivo e di prodotto finito. All’epoca, le industrie indiane erano preoccupate per l’incertezza delle forniture e per l’approvvigionamento dei componenti provenienti dalla Cina (70% dei principi attivi, principalmente dall’Hubei) dove, a dicembre, era cominciata l’epidemia causata dal nuovo coronavirus, ha detto a Le Monde, Sudarshan Jain, segretario generale dell’Indian Pharmaceutical Alliance (Ipa), la federazione dell’industria famaceutica indiana.
Ora, in India, la situazione è cambiata con l’aumento dei contagi (6.565 casi e 239 morti, secondo i dati dell’11 aprile) e il confinamento, fino al 3 maggio, della popolazione (1,3 miliardi di abitanti). Le imprese farmaceutiche possono aumentare rapidamente la produzione, ma incontrano difficoltà per la distribuzione dei prodotti. I voli cargo vengono operati con il contagocce.
Per rimediare alla dipendenza indiana dalla Cina per gli approvvigionamenti in campo farmaceutico, il governo Modi ha deciso di costituire un fondo di 100 miliardi di rupie (1,2 miliardi di euro) per incentivare i fabbricanti indiani a produrre essi stessi i principi attivi. Intanto, da metà marzo la Cina ha ricominciato a fornire le materie prime farmaceutiche all’India.