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 2020  aprile 16 Giovedì calendario

Intervista ad Alessandro Borghi

«Mi sono avvicinato a un mondo sconosciuto, quello della finanza» dice Alessandro Borghi, «non l’ho mai sfiorato anche perché non m’interessa la politica. Le due cose sono molto legate». Chiuso nei completi blu, l’attore interpreta Massimo Ruggero, ambizioso allievo di Patrick Dempsey, potente Ceo di una banca di investimenti a Londra, in Diavoli, la serie che debutta domani su Sky Atlantic e Now Tv, tratta dal libro di Guido Maria Brera. Diretto da Nick Hurran e Jan Michelini, è un thriller finanziario sui meccanismi complessi dell’economia che decide i nostri destini. Le immagini del crac delle banche americane si mescolano al racconto in cui Dempsey, ricco, spietato e dotato di moglie aristocratica, Kasia Smutniak, gioca sporco. È già stata annunciata la seconda stagione.

Borghi, che cosa ha imparato?
«Sono ignorante in politica, non mi hanno convinto a lottare per qualcuno. La finanza l’ho sempre intesa come uno strumento politico. Grazie a Guido Brera sono entrato in questo mondo, seguendo le call mattutine di quattro persone che decidevano l’andamento del mercato».
Morale?
«Anche se non sappiamo niente, la finanza ci riguarda, sceglie per noi. In questi giorni tra i mille decreti si è iniziato a parlare della patrimoniale e tutti, anche i miei genitori, si sono messi a discutere: "La vuole la destra, non la sinistra...". È la finanza che decide. C’è una scena in cui spingo un pulsante per shortare azioni (prenderle a prestito da chi già le possiede, impegnandosi a restituirle, poi si vende il titolo preso a prestito, ndr) e dall’altra parte del mondo saltano venti aziende».
Ci sono buoni?
«Ognuno fa scelte che fino alla puntata precedente non avrebbe fatto. Lo spettatore potrà farsi un’idea di chi è buono e chi è cattivo. I finanzieri sono giocatori, ne ho conosciuto uno con un fondo di investimento da 17 bilioni, non saprei scrivere la cifra. È arrivato in metro, la camicia con i gomiti consumati. Perché continua? "Perché questa volta voglio solo avere ragione". Si innesca un meccanismo spaventoso: dopo che hai 40 case, che altro puoi volere?».
Che rapporto ha con i soldi?
«Mi fanno schifo, lo dico senza paura. Li ho fatti, sono felice di aver aiutato la mia famiglia. È bello fare la spesa senza guardare il prezzo dei biscotti. La mia vita è più facile ma è rimasta la stessa, ho gli stessi amici e le stesse abitudini. Non mi piace l’idea che si possano fare soldi senza particolare merito».
L’emergenza coronavirus ha portato la crisi. Che idea si è fatto?
«Nella serie c’è una battuta: "La crisi è il momento migliore per fare soldi". Oggi che il mercato è crollato e tutti vedono nero c’è chi è in grado di capire il mercato e forse, chissà, in Cina, dove sono usciti dalla quarantena, avrà anche guadagnato. Ma è un disastro. Ho due attività a Roma e le ho chiuse: quando ci diranno di riaprire i ristoranti saranno vuoti, non credo che la gente uscirà. Io sono fortunato, ho un altro lavoro, ma i miei soci e i miei dipendenti? Devono essere sostenuti dagli imprenditori che a loro volta devono essere aiutati dallo Stato.
Che farà chi lavora in teatro, ai concerti, sui set? Sto leggendo copioni, sapendo che a luglio non girerò nessun film».
Come sta vivendo questo periodo?
«Mi hanno chiesto di stare a casa e ci resto, ma mi chiedo quanto durerà. Vorrei risposte. Però devo essere sincero, è passato un mese e non me ne sono accorto, questa quarantena è coincisa con l’arrivo della mia fidanzata da Londra. Ma vorrei risposte serie, non le pareti di plexiglass sulla spiaggia. È un mese che non posso abbracciare i miei ma c’è gente che ha visto la bara del padre dal balcone. Se ti metti nei panni degli altri, non ti puoi lamentare».
A 33 anni è uno degli attori più richiesti. Come definirebbe la sua carriera?
«Dieci anni di rincorsa folle verso qualcosa che sembrava inarrivabile, provo empatia per i ragazzi che iniziano. Sono stato molto fortunato da un certo punto in poi, ho debuttato nel 2006 e il primo incontro in cui mi è stata data fiducia è stato nel 2015, quando Stefano Sollima mi ha chiamato per il film Suburra. Non potevo sbagliare».