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 2020  aprile 16 Giovedì calendario

Il coronavirus si abbatte sull’arte contemporanea

Sipario. Fine degli investimenti milionari, e degli svenimenti alle aste di Sotheby’s quando l’opera Girl with Balloon di Banksy si autodistrusse dopo essere stata venduta. Anche sulla capricciosa e corteggiatissima arte contemporanea, popolata da allegri coniglietti di acciaio da 91 milioni di dollari (Jeff Koons, 1986) e case con piscina altrettanto costose che misurano 2 metri per 3 (acrilico su tela di David Hockney, 1972), sta per abbattersi la tempesta perfetta. Sono gli effetti di una pandemia che lascerà sul bagnasciuga del contemporaneo solo gallerie con il respiro di una multinazionale, e gli artisti con una famiglia ricca alle spalle e patrimoni già consolidati.
La pandemia mette all’angolo, con la stessa energia, astuti imbonitori e sofisticati esclusivisti di performance immateriali come quelle di Marina Abramovic. Uno tsunami che rischia di azzerare anche artisti-re Mida come Cattelan (profetica fu la banana venduta nel dicembre scorso all’Art Basel di Miami per «soli» 120 mila dollari) ma che di certo non risparmierà creativi rampanti e ancora di nicchia. A sostenerlo sono tre dossier elaborati oltreoceano, tra i quali quello di Jerry Saltz, firma dell’arte su The Village Voice e premio Pulitzer 2018. Lo ha scritto pochi giorni fa su Vulture: «We’re at The Last Days of the Art World». Senza giri di parole, l’apocalisse dell’arte.
Secondo il critico il coronavirus sta già decimando l’elitario milieu dell’arte nordamericana, a cominciare dalle luccicanti gallerie newyorkesi sprangate da settimane. Pochissime, a causa degli affitti stratosferici, saranno in grado di sopravvivere al lockdown. La falcidia colpirà quelle medie e medio-alte, spiega Saltz, e con ogni probabilità si abbatterà anche sulle fiere d’arte, con l’eccezione degli appuntamenti top come ArtBasel e forse Frieze, a patto che quest’ultima torni nel vecchio tendone di Regent’s Park. 
Stesso destino per gli artisti superstar che dovranno ridimensionare studi, assistenti e eserciti di segretarie. Un amaro declino, di proporzioni planetarie, toccherà i musei del contemporaneo, costretti a riconversioni costose in rete (giorni fa la direttrice della Tate Maria Balshaw ha spiegato al Guardian che questa metamorfosi scandita dalle viewing room sarà costosissima e dagli esiti incerti), e le grandi gallerie d’arte che dovranno cimentarsi con Vortic, la nuova piattaforma in «extended reality» ideata da Oliver Miro, figlio della celebre gallerista britannica Victoria, capace di portare, grazie al 3D, spazi e opere a casa dei collezionisti. 
E siamo al mercato. L’art business director Tim Schneider, nel suo ultimo editoriale sulla piattaforma Gray-market, ha parlato di due strade alternative post-Covid per l’arte contemporanea: o un atto di saggio bilanciamento (fine della bolla speculativa, dei guadagni milionari facili, dell’aria fritta che si vende in quanto aria) oppure la condanna all’«art cannibalism», cioè l’arte che si fa a pezzi e si mangia da sola, che già spuntava all’orizzonte prima della pandemia, con il progressivo accentrarsi di potere, risorse e visibilità per grandi artisti e grandi players del settore (come le case d’asta leader) e la desertificazione di tutto il resto.
Secondo Artribune, se la pandemia decimerà le gallerie (solo a New York si prevede che ne salverà il 30%), è evidente che anche i prezzi delle opere, e l’idea stessa di contemporaneo come investimento dai prezzi stellari, è tutta da rivedere. «Ci sarà bisogno di un New Deal e di un nuovo progetto di arte pubblica, proprio come accadde nel dopoguerra» avverte Hans Hulrich Obrist, direttore artistico della Serpentine Gallery, mentre la studiosa d’arte contemporanea Santa Nastro spiega che questo bagno d’umiltà al pianeta del contemporaneo potrebbe pure fare bene: «Al netto della sofferenza che sta causando, potrebbe trasformare in meglio un sistema ormai diventato snob e elitario: e sarà la prima volta che tutti remeranno nella stessa direzione». Come auspica Giulio Alvigini, fondatore della pagina Instagram e Facebook Make Italian Art Great Again, la porta del digitale potrà funzionerà da setaccio salvando la buona arte. Cattelan, a suo modo, l’inverno scorso è stato profetico: c’è una grande buccia di banana che sta per fare scivolare il mondo dell’arte. Magari si rialzerà più forte, magari no.