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 2020  aprile 16 Giovedì calendario

Il Libano alla prova del virus

È una strana scena quella a cui assistono da qualche settimana gli abitanti di Beirut. Di tanto in tanto, raccontano, elicotteri militari sorvolano a bassa quota i cieli della capitale. Non per vigilare dall’alto tafferugli e scontri armati. Né per intraprendere operazioni anti-terroristiche. Dai megafoni montati sui velivoli una voce metallica ripete lo stesso ritornello: «Restate a casa. Non uscite». 
Beirut è quasi deserta. Dall’alto restituisce un’immagine surreale, impensabile fino a un mese fa quando le piazze erano gremite da centinaia di migliaia di manifestanti accampati per protestare contro la corruzione del governo e la crisi economica.La pandemia del coronavirus, arrivata qui il 21 febbraio, non ha fatto che peggiorare un quadro economico già gravemente compromesso (nel 2019 il Pil si è contratto del 6,5%). Non poteva presentarsi in un momento peggiore. A settembre la popolazione caduta in povertà era salita al 33%. Un dato preoccupante per un Paese noto al mondo per il suo dinamico e ricchissimo settore bancario. I cui depositi ammontano a più di tre volte il Pil. Oggi, secondo il ministero libanese delle Finanze, quasi metà della popolazione, il 45%, è precipitata sotto la soglia relativa di povertà, di cui il 22% in estrema povertà. 
La parabola del piccolo Libano è stata sorprendente. Da Svizzera del Medio Oriente, appellativo con cui era conosciuto prima della guerra civile, il Paese dei Cedri si è risvegliato povero, quasi orfano di quella vivace borghesia che riempiva i teatri, le strade, i bar e i ristoranti del quartiere cristiano di Achrafieh. La svolta è avvenuta il 9 marzo, quando il primo ministro Hassan Diab ha alzato bandiera bianca, dichiarando uno storico quanto clamoroso default. 
Beirut annunciava la volontà di non pagare 1,2 miliardi di dollari. Martedì è scaduto il pagamento di altri 700 milioni in eurobond. A giugno sarà il turno di altri 600 milioni. E così via. Nessuno dei creditori si fa illusioni. Il governo di Beirut ha precisato che non riuscirà a onorare i propri debiti. L’ammontare del debito pubblico è di circa 90 miliardi di dollari, il 175,6% del Pil. D’altronde i conti del “regno delle banche” avevano raggiunto un livello insostenibile. Il deficit della partite correnti ha toccato, nel 2019, il 23% del Pil, la sterlina libanese ha perso metà del valore, l’inflazione è schizzata su valori a due cifre. 
«È il governo libanese che ha scelto di fallire. Aveva altre alternative. La sua decisione finisce per danneggiare il sistema bancario, che detiene 30 miliardi di dollari in eurobond. Quella in corso in Libano è soprattutto una crisi di fiducia», racconta al Sole 24 Ore Nassib Ghobril, capo economista di Byblos Bank Group, una delle tre maggiori banche del Paese. L’epidemia di Covid-19 rischia ora di mandare in tilt un’economia già messa a durissima prova. «Nessuno conosce esattamente il livello di povertà del Libano, ma non siamo la Somalia – prosegue Ghobril -. Certo i libanesi sono in grande difficoltà. Devono pagare due bollette elettriche, una dell’acqua, una delle più alte bollette per le utenze telefoniche di tutta la regione. Oltre alle altre tasse, dirette e indirette». 
Anche il governo di Beirut, come molti altri Paesi, ha adottato misure restrittive. Quella più severa è del 26 marzo, una sorta di coprifuoco dalle 5 di sera alle 7 del mattino. «Sorprendentemente il governo ha affrontato questa emergenza in anticipo.Il lockdown è stato deciso quando i casi erano ancora molto pochi», spiega da Beirut la giornalista Lina Saidi.Gli occhi sono ora puntati sul settore sanitario. Se quello pubblico da tempo versa in condizioni quasi fatiscenti, quello privato è sempre stato un vanto. Entrambi, anche insieme, sono incapaci di reggere l’urto di un’epidemia violenta.Nel mondo circa il 10% delle persone ufficialmente contagiate dal Covid 19 necessita di terapia intensiva, spesso viene intubato. In Libano ci sono 600 ventilatori,ma nello scenario peggiore la richiesta sarebbe di 2.800. 
George Ghanem è direttore sanitario e primario di cardiologia al Lebanese American University Medical Center di Beirut, conosciuto anche come Rizk Hospital. «Abbiamo creato un reparto per i malati di corona su due piani:16 stanze, 20 ventilatori più 12 macchine – spiega al telefono -. Abbiamo iniziato uno screening gratuito a livello nazionale. Finora le cose sono andate bene.C’è tuttavia un problema su come adeguare il sistema di assicurazione sanitaria privato al Covid e su come implementare una politica nazionale che coinvolga ospedali privati e pubblici».Il numero dei malati, 658, e dei decessi, 21, è stato contenuto. «Abbiano un grande vantaggio. La curva dei contagi è stata finora lenta.Il tempo è cruciale. Tuttavia se dovessero scoppiare grandi focolai nei campi dei rifugiati siriani rischiamo una catastrofe. Il Libano non ha gli strumenti per affrontare un’emergenza sanitaria quale quella avvenuta in Italia, in Spagna o negli Usa», puntualizza Ghanem. 
Da 5-6 anni il Libano convive con un esodo biblico di rifugiati,scampati dal conflitto civile nella vicina Siria. Sono un quarto della popolazione.È il rapporto rifugiati per abitante di gran lunga più alto al mondo. Un esercito di disperati.Che rappresenta un fardello sui conti pubblici e un problema sanitario altrettanto grande.I servizi di base, dai trasporti(già carenti),all’elettricità(anch’essa problematica da 20 anni)fino alla sanità,avevano retto male e con grandi difficoltà alla pressione di questa marea umana.Ora si teme il peggio.I libanesi sperano ancora nelle rimesse degli espatriati,che rappresentano oltre il 10% del Pil.«Per ora le rimesse tengono. Nei primi nove mesi del 2019 sono cresciute del 10% a 5,9 miliardi di dollari, ma la crisi provocata dal Covid danneggerà le attività dei libanesi all’estero. È probabile che le rimesse registrino un calo», conclude Ghobril. 
Il governo sta correndo ai ripari con una serie di provvedimenti. Il lancio di un programma di aiuti economici per le fasce più deboli appare però un tampone provvisorio e comunque inadeguato. Sul fronte finanziario, una circolare permette alle banche libanesi di accordare prestiti,anche a tasso zero,rimborsabili in 5 anni, alle società che non riescono a far fronte al pagamento degli stipendi,dei debiti presenti e di quelli futuri.La crisi di liquidità rappresenta un’altra emergenza.Dalla scorsa estate sul mercato parallelo la sterlina libanese si è svalutata del 50% sul dollaro Usa.Il cambio fisso, 1.507 pound per dollaro, era stato fissato nel 1997.Il governo ora intende accompagnare un processo di svalutazione, con l’obiettivo di raddoppiare il cambio o entro il 2024.«Senza il coronavirus avevamo stimato una recessione del 7%-8%, per il 2020 ora già si parla di una recessione del 12 e del 13%. Sempre che l’epidemia si mantenga limitata», conclude il capo economista di Byblos. 
«I libanesi si stanno comportando in modo responsabile – puntualizza Lina Siaid -.Ma è anche una questione di fortuna. Se l’epidemia dovesse assumere le dimensioni prese in altri Paesi europei,il nostro sistema sanitario sarebbe totalmente travolto».