la Repubblica, 15 aprile 2020
Intervista a Rino Formica
«Mi ha colpito la paura che c’è nel Paese. Una paura che non ricordo nemmeno durante la guerra. Io durante la guerra andavo a scuola. E c’era angoscia, naturalmente, ma si sposava con la consapevolezza che prima o poi tutto sarebbe finito, con dei vincitori e dei vinti. Quindi la paura era razionale, con la pandemia prevale invece l’irrazionale». Rino Formica, 93 anni, ex ministro socialista alle Finanze nella Prima Repubblica, legge e scrive nella sua casa nel centro di Roma. «Sto in cattività. I giornali me li porta il giornalaio o li compra mia figlia Letizia. Sono ligio alle regole: in queste settimane non ho mai messo il naso fuori».
Che paure vede?«La gente ha preso coscienza che molti degli orizzonti sventolati erano immaginari: l’abolizione della povertà, la riduzione della disoccupazione. Tutte cose che facevano ridere già allora».
Erano gli slogan dei populisti.
«Il populismo ha fatto bere la cicuta agli italiani facendo credergli che era un crodino».
Non le sembra esagerato il paragone con la guerra?
«La pandemia ci ha messo a nudo. Tutte le deficienze collettive stanno venendo fuori: adesso è chiaro ai più che siamo fragili, deboli e impreparati su tutti i fronti».
Può fare un esempio?
«La gente è colpita dai 120 medici morti. Se chi ha le armi per curare gli altri non riesce a curare se stesso significa che siamo nella tragedia. E poi c’è un’altra domanda ricorrente: come mai gli esperti non sono riusciti a dare l’allarme?».
Lei ha una spiegazione?
«Non ce l’ho, e penso che non sia nemmeno colpa degli esperti, ma di come funziona questo Paese».
In che senso?
«Perché da noi la tragedia ha colpito di più? Anche perché abbiamo voluto uno Stato storicamente debole. Del resto le tre forze che sorsero dopo la guerra, quella cattolica, quella socialista e quella comunista, erano, per motivi diversi tra loro, delle forze anti-Stato. Questa concezione è rimasta fino adesso. E si traduce nella massima andreottiana: un terzo non sono problemi, un terzo sono problemi che si risolvono da sé e un terzo si devono affrontare».
Ma qui la pandemia ha colpito la nostra Regione più ricca, con la sanità migliore. Non è una contraddizione?
«I dati ci dicono che non è in Lombardia la sanità migliore».
Lei non ha paura?
«Cerco di essere razionale. Ma se parlo con la colf o con gli amici al telefono, avverto come un brancolare nel buio, di uomini e donne che si sentono in trappola».
Nessuno ha capito come e quando ne usciremo.
«Del resto è un’emergenza che riguarda 4 miliardi di persone, una cosa così nemmeno con una bomba atomica. Nella percezione delle persone è come se ci fosse stato un disastro aereo. Un disastro aereo è diverso da uno ferroviario: nel primo non si salva nessuno, in genere».
Pensa che ci rialzeremo?
«Io penso di sì. Però ci vorranno le grandi guide. E non le vedo».
Draghi può essere una grande guida?
«Draghi in questo momento svolge un’altra funzione. Fornisce le garanzie al mondo estero: una funzione importantissima, dato che non c’è alcun uomo politico italiano che abbia uguale autorevolezza. Purtroppo il livello è quello indicato dal personaggio di Quelli della Notte, Pazienza, quando con la mano segnava la parte superiore del piede».
Draghi non lo vede come premier?
«Con quale maggioranza? Un governo con dentro Salvini, Zingaretti, Di Maio? Con un simile esecutivo l’Europa riderebbe».
Come valuta la resistenza di Conte sul Mes?
«Un’altra cosa che fa sbellicare il mondo: rifiutiamo un finanziamento che ci farebbe guadagnare qualche soldo. La verità è che chi non lo vuole preferirebbe fare debito con lo zio Sam, con qualcuno cioè che poi non verrà pagato. Diciamolo: è una discussione miserabile».
Cosa ci ha rivelato la pandemia?
«Che nella fragilità tutti siamo uguali, ma siamo diseguali nella resistenza. E ciò dipende non solo dal fisico o dall’anagrafe, ma anche dalle disuguaglianze sociali e politiche. Siamo il Paese dove una decisione del governo può essere disattesa o modificata a livello regionale o comunale».
Come ne verremo fuori?
«La cura e il vaccino saranno condizionanti. Ma questo vale per tutti. E anche come uscire dalla recessione verrà per tutti allo stesso modo. Proprio perciò penso che in qualche modo ne usciremo, ma comandando di meno».
E chi comanderà?
«Chi è più bravo di noi. Del resto sono trent’anni che veniamo governati da leader che portano in giro soltanto un medagliere di sconfitte. Nel Dopoguerra ricominciammo col chiedere ingresso nel coro dell’orchestra, l’Onu, la Nato, ma non ci sognavamo certo di dirigerla. Ci toccherà fare un percorso simile».
I cinesi saranno i nuovi padroni dell’Europa?
«Non credo. Il loro autoritarismo potrà andare bene in qualche paese balcanico. Tutto il resto dell’Occidente è vaccinato».