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 2020  aprile 15 Mercoledì calendario

A un anno dal rogo di Notre-Dame

Era il 15 aprile 2019. Emmanuel Macron stava registrando uno dei suoi discorsi alla nazione, da trasmettere in serata, per convincere i gilet gialli alla resa. Ma al tramonto, in una primavera insolitamente calda e senza storia, un rogo assurdo e violento si prese il tetto di Notre-Dame. La guglia, che si stagliava sopra, crollò sulle volte medievali, dinanzi agli occhi attoniti di parigini e turisti, accorsi sul posto. Anche Macron interruppe la registrazione e arrivò a sostenere i pompieri, che salvarono il salvabile. Già dal giorno dopo il presidente promise una ricostruzione in cinque anni.
Per mesi i lavori sono andati avanti, tra mille difficoltà e imprevisti. Fra i 60 e 70 operai e tecnici vi penetravano ogni giorno, ma ora il cantiere resta silente, come tutta la città. Che ne sarà di Notre-Dame? Il coronavirus avrà riflessi inevitabili sul restauro. Ma iniziamo da quel tramonto da dimenticare di un anno fa. Prima dell’incendio un’immensa impalcatura metallica era stata tirata su intorno al tetto, proprio per ristrutturare la guglia, che poi crollò sulle volte, aprendovi tre grossi buchi. L’impalcatura (fra le 300 e 400 tonnellate di metallo) è ancora in piedi, instabile e pericolante. In certi punti, a causa del calore eccessivo, i tubi sono diventati un ammasso fuso e informe.
Negli ultimi mesi accanto alla cattedrale erano stati installati una gru e due impalcature sui lati di quella già esistente. Fissati con le corde ai nuovi ponteggi, operai specializzati (sorta di acrobati) avevano iniziato a calarsi, stretti in imbragature, per togliere uno a uno i componenti di quell’immenso gioco di mikado, che rappresenta l’impalcatura bruciata. Da poco si era anche cominciato a togliere i residui di pietra e i pezzi di legno che gravano sulle volte martoriate (rischiano ancora di sprofondare). Il cantiere, delicatissimo, è andato avanti a rilento anche per un’altra ragione: la presenza sul posto, soprattutto al suolo, di residui del piombo che ricopriva il tetto e che è andato in fumo a causa dell’incendio. Chi vi entra deve indossare una scomoda tuta, lavorare fino a due ore e poi sottoporsi a una doccia e a una pausa di mezzora prima di rientrare.
Ecco, adesso con il Covid-19 le cose si complicheranno ancora di più, quando, con la fine del confinamento, il cantiere potrebbe riaprire. Impossibile, ad esempio, per gli operai e i tecnici continuare a condividere i ristretti spogliatoi esistenti o le docce comuni (per di più il virus, in quell’ambiente umido, potrebbe propagarsi più facilmente). 
Il generale Jean-Louis Georgelin, 71 anni, ex capo di stato maggiore dell’esercito francese, è stato messo da Macron alla guida della task force, che, con passo marziale, deve assicurare l’inaugurazione della nuova Notre-Dame il 15 aprile 2024. Il personaggio (brusco, già al centro di diverse polemiche) si è comunque voluto rassicurante gli ultimi giorni su un punto, l’estrazione della vecchia impalcatura.
«Intervengono ogni volta quattro o cinque persone, che già si calavano a una certa distanza tra di loro – ha sottolineato -. Per di più, proprio per le norme anti-piombo, indossano tute simili a scafandri. Aggiungendo delle mascherine sui volti, dovrebbero continuare a operare». 
Il generale, fervente cattolico, insiste nel promettere la prima messa il 15 aprile 2024. Ma sta iniziando a dire che a quel momento la cattedrale sarà restaurata «all’interno», non necessariamente «all’esterno». È probabile, ad esempio, che la nuova guglia non sarà stata ricostruita. Macron aveva invocato al riguardo «un gesto architettonico contemporaneo», scatenando non poche polemiche da parte di chi la voleva ripristinare tale e quale (in realtà non è un elemento d’origine ma fu costruita solo fra il 1858 e il 1859 da Eugène Viollet-le-Duc, nel suo grande restauro ottocentesco di Notre-Dame). Ormai non se na parla più. Nei tempi del coronavirus, sembrano polemiche così lontane.