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 2020  aprile 15 Mercoledì calendario

La quarantena di Raffaele La Capria

«Vado sul terrazzo e mi soffermo a osservare la città di Roma. È deserta, niente si muove. Tutto questo silenzio mi fa soffrire, ma veramente». Raffaele La Capria ha attraversato i furori del Novecento e adesso tasta incredulo l’improvviso vuoto di questo tempo sospeso. Ha scritto un capolavoro, Ferito a morte — «testimonianza vibrante di quegli irripetibili anni Cinquanta napoletani e italiani, teneri e sfacciati», scrisse Claudio Magris — con cui nel 1961 vinse il premio Strega. E ora, a 97 anni, come tutti è imprigionato a casa mentre fuori la peste miete le sue vittime.

Ogni tanto, per rompere la monotonia e cristallizzarne i vasti ricordi, la figlia Alexandra, sceneggiatrice e attrice, lo interroga, riprendendolo con il telefonino. «Cosa serve per riuscire nella vita?», gli domanda.
«Ambizione e forza di volontà», risponde secco il padre-maestro. E per diventare un grande scrittore?
«Provare e riprovare a scrivere». E la noia, in queste settimane di quarantena, è una risorsa? «Bisogna starne lontani», taglia corto. «La noia non produce». E fa un giro con la mano, come per scacciare una mosca fastidiosa.
La Capria, come sono le sue giornate?
«Si svolgono tutte uguali, senza grandi avvenimenti. Quando la noia si fa insopportabile allora esco sul terrazzo per prendere un po’ d’aria».
Dove abita?
«Nei pressi del Pantheon».
Come si è organizzato?
«Vive con me Alexandra, bada lei a me. La mattina mi sveglio intorno alle nove. Leggo i giornali, soffermandomi su qualche articolo che m’interessa».
Riesce a leggere dei romanzi?
«Ho ripreso in mano I fratelli Karamazov e I tre moschettieri. E poi rileggo sempre Cechov. Ma al massimo rileggo qualche pagina amata».
Ricorda il primo romanzo letto?
«Deve essere stato Guerra e Pace ».
È vero che non scrive più?
«È così. La fantasia si è affievolita. Sono un signore di quasi novant’anni ( Ride) . E del resto mi pare di avere scritto già abbastanza. Non c’erano altre cose che volevo dire e che non ho detto».
Quanto le manca sua moglie, Ilaria Occhini?
«Tanto. Lei non solo era una donna amorosa, ma era anche la mia compagna. Era intelligente, ci facevamo compagnia: la compagnia è una cosa importante in un rapporto di coppia».
Qual è l’aspetto della vostra vita insieme che le manca di più?
«Il poter chiacchierare di tutto. Ilaria poi era anche molto bella, e per me la bellezza è sempre stata importante. E poi noi sapevamo anche parlarci, non tutti riescono a farlo».
Erano comunicazioni profonde?
«Non necessariamente. Ma non importa che lo siano. Conta la tensione del dialogo».
La sogna?
«No, non mi appare mai».
Però la pensa?
«Quello sempre, con nostalgia».
Quali sono i suoi sentimenti di fronte alla pandemia?
«Una specie di rassegnazione, la stessa che uno prova quando fuori piove».
Aveva mai pensato di dover vivere un simile momento?
«Beh, in passato c’era stata la spagnola. Però certo era una società meno mobile di questa».
Ha paura?
«E a cosa servirebbe?».
A difendersi, magari?
«Sono ormai rassegnato ad accettare la vita così com’è».
Muoiono tanti anziani.
«Grazie per avermelo ricordato».
Le pesa essere imprigionato?
«Non la farei così drammatica. Negli ultimi anni sono sempre stato piuttosto casalingo».
Qual è l’aspetto che più l’ha colpito?
«Tutti quei morti, migliaia e migliaia. Fa impressione».
Oggi riaprono le librerie. Lei è favorevole alla riapertura?
«Non credo che sia un provvedimento tanto urgente. Comunque mi sta bene che siano aperti, tutto ciò che ricorda la normalità io l’accolgo con gratitudine».
Come ne usciremo?
«Come siamo usciti altre volte, anche da situazioni peggiori di queste, come la guerra. Ne abbiamo le capacità. Abbiamo sempre avuto grandi risorse, sapremo risollevarci anche stavolta. Agli italiani dico di sentirsi sentimentalmente uniti».
È una guerra?
«Sì, ma di un genere nuovo».
(In uno dei video Alexandra gli chiede: «Che ricordo hai della guerra?» E lui: «Un generale mi squadrò a lungo e poi sentenziò: "La perderemo". Ecco, io non ero un tipo da fronte»).
Che società ci attende?
«Più avvertita dei risvolti negativi che andranno corretti».
Il governo come se l’è cavata?
«Nel complesso mi sembra bene. Ha fatto quello che poteva considerata la situazione».
Il presidente Conte la convince?
«Mi sembra una brava persona, anche abbastanza abile».
Però abbiamo 20mila morti.
Quali errori sono stati fatti?
«Eh, qualcuno è stato fatto, altrimenti non avremmo tutte queste vittime».
Il telefono squilla spesso a casa sua?
«Sì, gli amici mi vogliono bene. Purtroppo non sento più bene come una volta».
Ha nostalgia di Napoli?
«Napoli è la mia giovinezza. Mi ricordo che da ragazzi ci chiudevamo in una stanza, io, Francesco Rosi e Peppino Patroni Griffi a leggere Conrad. Ognuno leggeva le sue parti in silenzio, e poi ci si confrontava tra di noi».
Pensa più al passato o al futuro?
«Al passato, anche se vorrei evitarlo. Ho sempre la testa affollata delle immagini di me ragazzo. Abitavo nel palazzo Donn’Anna, immerso nel Golfo di Napoli. Durante il maltempo le acque arrivano fino alle finestre».
Cosa le manca adesso?
«Il mare. Sentire il rumore delle onde infrangersi contro il palazzo, mentre mi addormento la notte».