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 2020  aprile 15 Mercoledì calendario

Biografia di Laura Galletti raccontata da lei stessa

Una telefonata al tramonto: «Stefano, domattina devi correre qui a Firenze per conoscere una tua straordinaria concittadina. Poi ripartirà e non la incontrerai mai più» Di Paolo Coccheri mi fido. Era attore e regista, per 30 anni assistente di Orazio Costa Giovangigli. All’improvviso ha mollato il teatro e sulla carta d’identità, alla voce «professione», s’è fatto scrivere «umanizzatore». Ha fondato le Ronde della carità, i Buoni samaritani, i Cacciatori di briciole, i Volontari dell’impossibile, la Comunità del silenzio, l’Università della strada e non ricordo quante altre associazioni. Come il suo maestro Giorgio La Pira, è un pazzerello di Dio. Perciò, se ti dice che ha incontrato una donna più matta di lui, devi credergli sulla parola e partire senza discutere.Agli occhi del mondo la veronese Laura Galletti questo sembra: una povera pazza. Lei si definisce invece «la povera allegra» Dal 12 aprile 2001 – oggi sono 19 anni – non tocca il denaro per nessun motivo, anche perché non ne possiede. Prima dell’introduzione dell’euro, guadagnava 7 milioni di lire al mese. Ha fatto voto di non chiedere niente agli altri, tanto meno l’elemosina. Non ha un tetto sopra la testa, quindi non può neppure ottemperare all’imperativo categorico – «state a casa» – dettato dal coronavirus. Non riscuote la pensione. Non utilizza trasporti pubblici: solo i piedi. Non dispone di telefoni o computer.
Coccheri ha incontrato Laura Galletti sotto il porticato di Palazzo Pitti. Era appena sbucata da uno scatolone: la sua casa provvisoria durante la notte. Veniva fuori di lì anche il giorno che l’ho incontrata, sorridente, camicia rossa perfettamente stirata, mani curate, capelli in ordine, pulitissima: «Alle 9 sono andata nel bagno per disabili della Rinascente. Un’ora e mezza di toeletta».
Quando non era pellegrina intorno al mondo, da Gerusalemme a Santiago di Compostela, per anni Laura Galletti ha dormito al cospetto di San Pietro, nel senso che ogni sera stendeva il suo giaciglio di cartone davanti alla basilica vaticana, sul primo gradino della libreria Àncora, all’angolo con via della Conciliazione. Alle 6.30 i carabinieri invitavano lei e gli altri barboni a sloggiare, perché gli ultimi saranno anche i primi nel Regno dei Cieli però di giorno sono piuttosto brutti a vedersi sulla terra.
Alla fine aveva deciso di costruirsi, con le canne dell’Ardeatina, un rifugio stabile in lungotevere Vittorio Gassman, di fronte all’ex Gazometro di Roma. Sul muraglione c’era un enorme teschio con la scritta «Morte». Lei lo aveva coperto con un poetico murale, mettendo a frutto le sue doti di ex grafica pubblicitaria: papaveri, farfalle, fragole, coccinelle. Due anni di lavoro. Con una scritta a suggellare l’affresco: «Dio sta a noi come l’oceano ai pesci». Ma i lugubri graffitari hanno deciso di rimpossessarsi della loro lavagna di calcestruzzo e le hanno bruciato la capanna. Se in quel momento fosse stata lì dentro, sarebbe arsa viva.
Da allora Laura Galletti ha ripreso la sua vita errabonda, girando a piedi la Calabria e la Sicilia, sino a far perdere le proprie tracce. Il programma Chi l’ha visto? a un certo punto si è dovuto occupare di lei.
Ogni tanto torna in via Dandolo 10, nel quartiere romano di Trastevere, dove ha sede la mensa della Comunità di Sant’Egidio. Consuma la cena e ritira le lettere arrivate al fermo posta. «Ma è da qualche tempo che non si fa vedere», mi dice Roberto Zuccolini, portavoce dell’associazione umanitaria. L’avventura della «povera allegra» continua.
Posso chiederle l’età?
Sono nata nel 1947. Porto il cognome di mia madre, Giulia Galletti. Morì il 30 maggio 1999. Aveva due lauree. A Verona era preside dell’istituto femminile Bon Brenzoni di via XX Settembre.
Perché non ha assunto il cognome di suo padre?
Perché s’è sempre disinteressato di me. La prima e ultima volta che lo vidi avevo 18 anni. Si presentò dicendomi: «Ora che sei diventata signorina, ti serviranno» e cercò di allungarmi un rotolo di banconote. Voleva comprare il mio perdono e il mio affetto. Lo mandai a quel paese. La sua famiglia era proprietaria del ristorante Pedavena in piazza Bra.
Non ha mai avuto un marito?
No. Ero sposata con mia mamma. Aveva 42 anni quando mi partorì. L’ho assistita fino ai 95. A quell’epoca vivevo grazie alla sua pensione e all’assegno di accompagnamento.
Non ha mai avuto un impiego?
Dopo il diploma all’istituto d’arte Nani e gli studi di grafica e fotografia a Monaco di Baviera, ho lavorato per lungo tempo a Firenze nell’agenzia Leader di Pico Tamburini, parente alla lontana di mia madre. Curava la pubblicità per grossi clienti, tipo Piaggio, Ray-Ban e Ariston elettrodomestici. Mi aveva nominato responsabile dei servizi fotografici e del casting, al fianco di Gilberto Filippetti, il creativo che ideò lo slogan «Chi Vespa mangia le mele (chi non Vespa no)». A Milano mi sono occupata per 12 anni dell’immagine di Bagaglino, hotel e resort di lusso. Lavoravo 14 ore al giorno. Alla fine ho detto basta. Oggi mi accontento solo di esistere. Per la prima volta mi sento finalmente radicata in qualcosa.
In che cosa?
In Dio, che io chiamo Papà.
Un incontro tardivo?
Dall’adolescenza in poi ho vivacchiato nell’indifferenza religiosa. Dio stava lassù, io quaggiù. Non comunicavamo.
Poi che cos’è accaduto?
Il prete veniva a portare l’eucaristia a mia madre, ormai inferma. Per farla contenta, mi sono confessata e ho cominciato a comunicarmi anch’io. Quando se n’è andata, ho sentito che morendo la mamma mi dava per la seconda volta la vita, quella eterna.
E ha deciso di abbandonare Verona e la vita precedente.
Sono andata in banca accompagnata da una suora delle Missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta. Credeva che volessi fare un’offerta. Quando ha visto che svuotavo il conto e le giravo l’intero importo, è arrossita. Le ho detto: per me questa è solo carta, adesso per fortuna la responsabilità di che cosa farne è solo vostra.
Come mai si trasferì a Roma?
Mi sembrava una scelta naturale: non è forse la culla della cristianità? Andavo alla messa cantata delle 8 nella basilica di San Pietro. Nonostante fossi nubile, la badessa di un convento delle clarisse m’indirizzò a un centro per ragazze madri, in via di Bravetta. La superiora mi disse: «Vede l’area qui intorno piena di calcinacci? Me la trasformi in un giardino». La accontentai. Mesi di sudore. Il martedì alle 19 andavo alla catechesi nella parrocchia di Santa Galla, a parecchi chilometri di distanza. La suora mi cacciò perché tornavo in ritardo. Così mi ritrovai a dormire fra alcolisti e drogati alla stazione Tiburtina. Mi riparavo dal freddo con i sacchi neri della spazzatura.
Era diventata una barbona.
No. Il degrado è frutto dei comportamenti dell’essere umano. Se non segui delle regole, degradi. Io non vivo nel degrado perché non sono degradata.
E dopo che accadde?
Il 12 aprile 2001 andai in pellegrinaggio nel luogo in cui fu decapitato l’apostolo Paolo, alle Tre Fontane, dove in quello stesso giorno di 54 anni prima la Madonna disse al tranviere Bruno Cornacchiola: «Tu mi perseguiti, ora basta». I fedeli guardavano verso il cielo. Istintivamente feci lo stesso e mi accorsi che potevo osservare il sole senza accecarmi. Il fenomeno durò fino al tramonto. Pensai: come posso ricambiare? D’istinto risposi: via tutto il denaro e mai più una richiesta. Un minuto dopo mi resi conto dell’enormità di quel mio proposito. Ma era una promessa al Papà e ormai non potevo più convertirla in una novena.
Perché no? Anche Lucia Mondella fu dispensata da un voto irragionevole fatto dopo che l’Innominato l’aveva rapita.
Sottrarmi sarebbe equivalso a tradire me stessa.
Come ha fatto a girare il mondo?
Niente autostop: non posso chiedere. Ma se Papà mi manda un passaggio, accetto volentieri. Con questo sistema sono arrivata in Terrasanta, a Lourdes, a Fatima. E a Santiago di Compostela, ma senza fare l’intero Cammino, perché se vuoi dormire negli ostelli devi pagare. Inoltre non posso andare per sentieri, percorro solo strade asfaltate: ho un unico paio di scarpe e deve durarmi.
Prima tappa di questo pellegrinaggio infinito?
Medjugorje. Ero alle prime armi e non mi comportai troppo bene. Ora sono cambiata.
Che cosa fece di sconveniente?
Ci arrivai da clandestina. Approfittai di un nubifragio per intrufolarmi sul traghetto Ancona-Spalato. Rimasi a Medjugorje per 18 giorni. L’altro viaggio abusivo fu sul traghetto da Brindisi alla Grecia.
Dove voleva andare?
Da Papà, in Palestina. Dissi a Gesù: senti, se vuoi che arrivi a casa tua, devi farmi da tour operator. Da quel giorno, a piedi verso Istanbul, trovavo dei sacchetti bianchi, senza scritte, lungo il ciglio della strada. Come se qualcuno avesse fatto la spesa per me. Dentro c’era di tutto: pane, latte, cioccolato, una volta persino paste alla panna. Non rimasugli, badi bene: cibo fresco, intatto. Il primo giorno ne tenni un po’ da parte, per paura di restare senza. Alla fine dovevo buttarlo, tanto ne rinvenivo. E chiunque incontrassi, sempre lo stesso ritornello: «No money? No problem». Il traghetto per Cipro me lo pagò un controllore.
E dopo aver raggiunto Cipro?
Dalla zona turca non mi facevano passare in quella greca. Mi lasciarono telefonare all’ambasciata italiana. Dissi all’addetto diplomatico: dormo in una casa diroccata lungo la linea di confine, fra un mese venga a prendere il mio scheletro e lo rimandi in patria. Accorse subito con un biglietto aereo pagato per Tel Aviv. Insistette per darmi 100 dollari di tasca sua: «Lo faccia per me, la prego. Non sopporto che lei vada in giro senza nulla», e infilò i soldi nel taschino della mia camicia. A Gerusalemme mi ospitarono i frati. Dopo una settimana il priore mi mandò via perché il mio stile di vita lo angosciava. Passati 40 giorni, tornai da lui: mi ero dimenticata di consegnargli la banconota avuta dal diplomatico. Quasi piangeva: «Non sapevo come pagare un operaio che ha fatto un lavoro nel dormitorio da cui l’ho cacciata. Un conto da 100 dollari esatti. Ed ecco la pazza che trova da mangiare sugli alberi me li ha portati».
Mai fatto brutti incontri nei suoi pellegrinaggi a piedi?
Mai. Il male ha potere solo se gli diamo potere. Io vivo con Colui che il male lo ha vinto. La mattina dopo l’elezione, papa Francesco andò a pregare nella basilica di Santa Maria Maggiore. Ero lì anch’io, ma trovai i cancelli sbarrati. Il pastore dentro e le pecore fuori. Bello, no? Seppi da una suora che il Pontefice se n’era lamentato. «È per la sua sicurezza, Santità», gli spiegarono. Ma lui replicò: «Non sono indifeso». Nemmeno io.
Ieri sera, qui a Firenze, che cosa ha mangiato?
Ho trovato due vaschette di riso alla greca, perfettamente sigillate, in via dei Servi di Maria. Papà non mi dimentica mai. Stamane un turista straniero in attesa di entrare nel Giardino di Boboli s’è staccato dalla coda e mi ha consegnato un sacchetto bianco con dentro un dolce di riso. Poi è tornato a far la fila, sorridendomi.
Chi le fornisce il vestiario?
Nel santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa mi avvicinò una signora, Maria Bordieri, e mi disse: «Le parlo come se fossi sua madre. Una voce mi ha sussurrato: “Segui quella donna, non abbandonarla”». Le chiesi: quanti anni ha? «Quaranta». Io allora ne avevo 54: non era mai accaduto che una mamma nascesse dopo sua figlia. D’inverno vivo per alcuni mesi a casa sua in Sicilia. È sposata con un camionista, hanno due figli. La prima volta vennero a prendermi a Roma in auto. Adesso mi mandano il biglietto del treno. A Natale mi consegnano un pacco dono con dentro tutto ciò che mi serve durante l’anno: abiti, biancheria, scarpe, sapone, dentifricio.
Come fa a procurarsi le medicine quando sta poco bene?
Dico a Papà: Tu mi hai fatta e Tu mi devi aggiustare. Non mi ammalo da anni. L’unico raffreddore lo buscai quando i volontari della Caritas d’inverno vollero portarmi nel loro rifugio.
La sua mi sembra un’utopia. Come potrebbe un padre di famiglia crescere i figli e mandarli a scuola senza denaro?
(Silenzio). Non lo può fare.
Il denaro ottiene tutto?
No, solo la precarietà. Sa che cosa diceva l’armatore greco Aristotele Onassis? Quando un uomo afferma che con il denaro si ottiene tutto, sta’ sicuro che non ne ha mai avuto.
Che cosa pensa della crisi economica?
Mal voluto non è mai troppo. L’uomo è l’unico essere dell’universo che ha bisogno dei soldi. Ha mai chiesto a un uccellino perché non ha denaro? Solo l’assenza di quattrini dà la possibilità di rendersi conto della presenza di Dio.
La brama di denaro è davvero alla radice di tutti i mali, come scrive san Paolo a Timoteo?
No. Il bambino non è meno perfetto dell’adulto e l’uomo non è meno divino di Dio. Solo che...
Solo che?
Il troppo avere non ti renda peggiore.
(L’Arena)