Il Sole 24 Ore, 14 aprile 2020
Rischi e benefici della Clorochina
Dall’Oms all’Agenzia europea del farmaco (Ema) dall’Aifa (Agenzia italiana per il farmaco), ai National institutes of health: tutti le vogliono studiare, con la benedizione di Donald Trump e la simpatia di Emmanuel Macron. E con gli inviti sempre più frequenti alla massima cautela di tutta la comunità scientifica internazionale, e l’appello di altri malati a non toglierle a loro, che ne hanno davvero bisogno. Clorochina e soprattutto idrossiclorochina (molto simili, della famiglia delle 4-amino-chinoline), derivati del chinino in uso dalla metà del secolo scorso, sono i farmaci nei quali sono riposte le maggiori aspettative, anche perché già in uso, privi di brevetto e quindi molto economici.
Ma come mai un antiparassitario (la malaria è veicolata da un protozoo, il plasmodio), efficace anche per malattie autoimmuni, è ora candidato a curare il virus Covid-19? Per capire l’intreccio bisogna distinguere due livelli, quello mediatico-politico e quello scientifico. Per quanto riguarda il primo, l’idrossiclorochina è stata presentata da Trump come un farmaco miracoloso, con il più che evidente imbarazzo del suo consigliere Anthony Fauci, dei Cdc, dell’Fda, di molti scienziati, che continuano a ribadire quanto sia prematuro esprimersi. Non solo. Dopo che il discusso medico francese Didier Raoult ha iniziato a utilizzarla con l’antibiotico azitromicina, pur senza fornire dati attendibili, Macron gli ha fatto una visita considerata una sorta di endorsement molto criticata.
Dal punto di vista scientifico, invece, i presupposti sono chiari, come spiega Alessandro Nobili, responsabile del Laboratorio di valutazione della qualità delle cure dell’Istituto Mario Negri di Milano: «Questi farmaci hanno diverse azioni, non del tutto note: alterano il pH interno delle cellule, e questo può interferire con la replicazione dell’Rna virale. Inoltre agiscono sulla proteina usata dal virus come serratura, l’Ace2. Infine, sono immunosoppressori, e questo potrebbe servire nelle risposte immunitarie eccessive scatenate nei polmoni. Fin qui la teoria. Però negli anni sono state sperimentate in vitro o negli animali contro i virus Zika, chikungunya, Epstein-Barr, dell’influenza aviaria H5N1, Ebola e altri, e hanno sempre deluso». Questo, di per sé, è un ottimo motivo per attendere i dati almeno della sperimentazione più estesa, quella dell’Oms chiamata Solidarity, in corso in tutto il mondo. Ma poi ce n’è un altro, che spiega l’allarme di tanti farmacologi: la tossicità, di cui Nobili sottolinea gli aspetti più importanti: «Si tratta di farmaci che tendono ad accumularsi, il cui dosaggio tossico è vicino a quello efficace e che possono risultare anche fatali, sia pure raramente. La tossicità principale è a carico del cuore e del fegato, non è sempre reversibile e dipende dalla dose, dalla durata dell’assunzione, dalle condizioni cliniche e dal patrimonio genetico. Poi ce ne sono altre sul sistema nervoso, sull’occhio e su altri organi. Un altro rischio è quello delle interazioni con altri farmaci: c’è una lunga lista di terapie che è meglio non associare a esse. Sono anche segnalati possibili controindicazioni, perché questi farmaci agiscono sulle difese immunitarie e potrebbero aggravare i sintomi. Infine, in molti paesi non si usano più perché i plasmodi sono diventati resistenti: non si può escludere che lo stesso accada con il Covid-19». Ciò spiega perché abbia suscitato scetticismo lo studio appena lanciato dall’Università di Oxford che prevede di dare idrossiclorochina a 40.000 medici e infermieri in tutto il mondo a scopo preventivo, per tre mesi.
E spiega perché l’Aifa, in accordo con l’Ema, permetta un uso ospedaliero o uno compassionevole domiciliare, ma sempre in via sperimentale e sotto stretto controllo medico, in attesa che i numeri facciano chiarezza. E, soprattutto, perché sia assolutamente sconsigliata la terapia fai da te.