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 2020  aprile 14 Martedì calendario

In Corea del Sud 91 pazienti ritornati positivi

I pazienti guariti dal coronavirus potrebbero tornare positivi e riammalarsi. Lo ha dichiarato il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) di Seoul, Corea: due settimane dopo essere stati dichiarati guariti, 91 pazienti sono tornati a essere positivi al tampone. Un caso c’è anche in Italia: una paziente dimessa dall’ospedale Sacro Cuore di Negrar di Verona perché guarita dal Covid e negativa al virus, è tornata a essere positiva al tampone ed è stata nuovamente ricoverata.
Secondo l’Oms, un paziente è guarito se non ha più sintomi da Covid e se risulta negativo a due tamponi, uno a distanza di 24 ore dall’altro. Dopodiché, il paziente resta altre due settimane in quarantena. Al termine delle quali, in Corea – ma non in Italia, e qui sta il problema – viene effettuato un terzo tampone di controllo. Anche a Wuhan, questa prassi ha permesso di scoprire che tra il 5% e 10% dei pazienti dimessi dagli ospedali perché guariti, sono risultati di nuovo positivi. Alcuni di loro si sarebbero riammalati e sarebbero deceduti. Ma lo studio scientifico coreano su 91 pazienti è ancora in corso. Anche se “le segnalazioni di pazienti guariti che tornano positivi sono sempre più frequenti,” dice al Fatto Massimo Andreoni, presidente della Società italiana di malattie infettive. “Sebbene non ci sia ancora chiarezza, è un campanello d’allarme”. Ad oggi, in Italia sono 34.211 i guariti da Covid. Ma non sono stati sottoposti a ulteriori tamponi di controllo dopo la quarantena. Quanti di loro sono tornati al lavoro, nei settori ancora produttivi? “Serve una sorveglianza più attenta”, aggiunge Andreoni. Non basta che un paziente guarito venga sottoposto al solo controllo clinico al termine della quarantena, come avviene ora. “Bisogna prevedere ulteriori tamponi di controllo”, conclude Andreoni per escludere che i guariti non siano contagiosi.
La Corea ha rilevato le potenziali recidive grazie al più ampio programma di tamponi del mondo. Non a caso, include anche il monitoraggio virologico dei guariti.
In Italia, alla disomogeneità dei programmi di tamponi delle Regioni, si aggiunge ora il pericolo dei pazienti guariti che potrebbero ritenersi immunizzati senza esserlo: nessuno li ha sottoposti a un terzo tampone di controllo. Se lo studio coreano confermasse che quei 91 casi non siano frutto di errore dei test, allora in Italia i guariti potrebbero rappresentare un’incontrollabile fonte di contagio. E non una delle categorie a cui conferire il lasciapassare per la fase due. Ma secondo Jeong Eun-Kyeong, direttore del Cdc coreano, i pazienti non si sarebbero reinfettati. Si tratterebbe di riattivazione del virus contratto la prima volta. Quei pazienti sarebbero, cioè, dei falsi negativi: a guarigione avvenuta, la carica virale si potrebbe essere ridotta grazie all’azione di contrasto dei cosiddetti anticorpi IgG, ritenuti in grado di neutralizzare il virus. Ma non sarebbe sparita del tutto. E sarebbe, a un certo punto, tornata a crescere. “Potrebbe voler dire che il Sars-Cov2, come altri coronavirus, non garantisce la possibilità di un’immunità protettiva a lungo termine” spiega al Fatto Maria Rita Gismondo, virologa al’ospedale Sacco di Milano. La carica virale si potrebbe ridurre temporaneamente grazie agli anticorpi IgG. I quali, contrariamente a quanto finora ipotizzato, potrebbero perdurare poco tempo nell’organismo. Quando si esauriscono, il virus tornerebbe a proliferare. “Questo metterebbe in discussione anche i test di screening immunologico basati sulla rilevazione delle IgG, di cui tanto si parla”. Quelli che il governatore del Veneto Luca Zaia vorrebbe usare per conferire una patente di immunità, come lasciapassare per la libera circolazione dei guariti. Ma se fosse confermato che gli anticorpi protettivi non permangono a lungo, i test immunologico, da soli, non certificherebbero l’assenza di contagiosità.
C’è anche uno scenario peggiore: “Se i risultati dello studio coreano ci dicessero che quei 91 casi non sono dei falsi negativi, ma che si sono invece infettati una seconda volta, questo ci farebbe preoccupare ancora di più”, conclude la Gismondo. Per capirlo, si dovrebbero intanto mettere a punto tamponi in grado di catturare quantità di virus molto piccole, controllare i pazienti già guariti con tampone a intervalli regolari di tempo, e non procedere con le “patenti di immunità”, almeno fino alla pubblicazione dei risultati dello studio coreano.