la Repubblica, 14 aprile 2020
Un testo inedito di Emmanuel Carrère
Solo fare l’amore. È l’unico rifugio. Ma arriva il momento in cui hanno finito di fare l’amore. Sono l’uno accanto all’altra nella penombra, e Mathieu parla, sottovoce: «So che non capisci cosa sta succedendo... come me, del resto. So che, dal tuo punto di vista, l’uomo con cui vivi un bel giorno si è messo a parlare una lingua ignota. Così, di punto in bianco... Tu gli parli... cerchi di spiegargli... cerchi di spiegargli cosa? Non lo so... forse che deve andare da uno psichiatra... immagino che è a questo che tutti pensano quando succede una cosa del genere... E anche lui ti parla, anche lui cerca di spiegarti qualcosa, e questo qualcosa è ancora più improbabile che tu possa intuirlo da sola... Ti dice che, fino a stamattina, tu parlavi un’altra lingua, la stessa che parla lui... e che tutti parlavano la stessa lingua, qui almeno... Ce n’erano altre, in altri paesi... È cambiato tutto in una notte... come quando si passa all’ora legale, hai presente?... o come quando siamo passati all’euro... Ma almeno nel caso dell’euro ci hanno avvertiti, abbiamo avuto il tempo di prepararci, e soprattutto non abbiamo dimenticato com’era prima... Adesso, credo, hanno trovato un modo per cancellare tutto, per cambiare il disco fisso di tutti in un colpo solo... Tranne il mio...».
Sogghigna amaramente. Francesca, sconvolta, gli prende il viso fra le mani. Gli parla, nella lingua ignota, con sofferta tenerezza, con convinzione, con insistenza, come se il suo amore avesse il potere di fargliela capire, di impedire all’uomo che ama di sprofondare nella follia: « Essjera sepominanija, Vrejte, essjera... ecc. ecc.».
Gli parla, argomenta, cerca a quanto pare di fargli capire qualcosa. Lui la lascia parlare, poi scuote la testa. «No. Penso che tu stia cercando di dirmi una cosa tipo: ti amo, vedrai, ne usciremo, l’importante è non perdere la fiducia... è così, no? Ma non funziona... E poi, sai, quello che io credo, quello che ti racconto forse è puro delirio paranoico. Forse la verità è quello che pensi tu, e che tutti pensano: che abbiamo sempre parlato come parlate voi... che la lingua che parlo io non è mai esistita... Un tizio che d’un tratto si mette a parlare una lingua immaginaria è una cosa rara, seccante per lui, ma in fondo è una patologia che si trova nei manuali, posso persino dirti che la chiamano glossolalia» (sorride tristemente) «nella mia lingua, per lo meno. È più probabile che sia un tizio a soffrire di glossolalia piuttosto che un’intera popolazione alla quale avrebbero cambiato il disco fisso a sua insaputa...». (Fa una pausa, riflette).
«Forse non ci siamo mai chiamati Mathieu e Francesca... Forse stamattina non mi hai chiamato Mathieu... Non so perché, ma è la cosa più difficile da accettare...».
Si alza, si veste lentamente. Francesca lo segue con lo sguardo, sconvolta. Ricomincia a parlargli, combattuta fra collera, biasimo, dolore... Lo sta cacciando? O cerca di trattenerlo? Non è chiaro. «Sì, dev’essere così» sospira Mathieu. «Hai ragione tu». E si dirige verso la porta.
Vaga per la città, come un fantasma. Si fa strada tra la folla dei grand boulevard, cogliendo di sfuggita le frasi dei passanti, imprigionato nel brusio della lingua che non capisce e che, letteralmente, gli trapana le orecchie. Come se fosse circondato da un nugolo di mosche. È in un bar aperto sino a tardi la notte, fra Trastevere e Pigalle. Ci sono puttane, tipi un po’ loschi, alcolisti. È il genere di posto dove puoi raccontare quello che vuoi nella lingua che vuoi senza farti troppo notare. Mathieu ne approfitta. Ha bevuto qualche bicchiere e parla in francese a un ubriaco che non lo capisce ma lo ascolta comunque. Con la voce impastata, Mathieu cerca di spiegare all’ubriaco, e di spiegare a se stesso, quel che dev’essere accaduto, questo enorme cambiamento di cui nessuno è consapevole tranne lui, e perché proprio lui, perché?...
Senza smettere di parlare, gioca meccanicamente con il contenuto di una zuccheriera che sta lì sul bancone. Prende i quadratini di zucchero avvolti nella carta e li impila, formando una specie di torre che crolla. Scuote la testa, scoraggiato, come se il crollo della torre simboleggiasse la vanità di tutti i suoi sforzi – e di colpo il suo sguardo si blocca. Su una zolletta. Sull’involucro di carta, dove sono grossolanamente disegnate una tazza di caffè fumante e una faccia sorridente che vi si accosta. E al di sopra della faccia sono stampate queste parole: «Caffè dolce, dolce pausa». In francese.
Sconvolto, Mathieu esamina febbrilmente le altre zollette. Su tutte, il disegnino è sormontato da una didascalia nell’alfabeto ignoto. Mette la zolletta con lo slogan in francese sotto il naso dell’ubriaco. «Guarda!» ordina.
L’ubriaco non capisce, perché mai questo tizio brandisce a quel modo una zolletta? Perché la cosa lo fa uscire di testa? Mathieu si gira verso una puttana, vuole assolutamente che lei guardi il pezzetto di zucchero, ma senza darglielo: non vuole mollarlo, è troppo prezioso. Parla a voce altissima, rivolgendosi non solo alla puttana, ma a tutti i clienti del bar, cercando di attirare la loro attenzione sulla zolletta e sulle parole stampate sulla carta.«Guardate! Guardate cosa c’è scritto! “Caffè dolce, dolce pausa”. È una prova, no? «Vuol dire che ci sono cose e persone che l’hanno scampata... con le quali non ha funzionato... Questo pezzetto di carta ed io siamo uguali, dei pezzi difettosi... incidenti industriali... e ce ne sono per forza degli altri... E che ne fanno dei pezzi difettosi? Li buttano nella spazzatura? Li aggiustano? C’è una linea diretta che si può chiamare per dire ecco, non sono stato connesso, non mi hanno cambiato il chip, che faccio?...».
La puttana alza le spalle, si lascia sfuggire nella sua lingua quella che dev’essere una raffica di insulti. Mathieu si irrita sempre di più, se la prende con tutti. Un tizio robusto lo minaccia. Mathieu gli sferra un pugno in faccia. Un altro tizio gli piomba addosso, la rissa diventa generale.
© 2018 P.O.L éditeur ©2018 ©2020 Adelphi Edizioni Spa Milano
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Questo testo di Emmanuel Carrère è un estratto da un suo soggetto cinematografico, finora inedito in Italia, intitolato Lingua straniera. E che adesso il suo editore italiano, Adelphi, pubblica in un ebook con lo stesso titolo disponibile da domani, all’interno della nuova collana digitale “Microgrammi” (traduzione di Ena Marchi e Giorgio Pinotti, pagg. 56, euro 1,99).