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 2020  aprile 14 Martedì calendario

La quarantena dei bielorussi nonostante Lukashenko

Nessuna restrizione. Nonostante la pandemia, la Bielorussia ha mantenuto frontiere e scuole aperte e proseguito il campionato di calcio (l’ultimo in Europa su cui scommettere). Anche le chiese sono aperte in vista della Pasqua ortodossa che cadrà il 19 aprile. La vita continua come prima, eccetto che negli ospedali. Da domenica a lunedì i casi di Covid 19 sono aumentati da 2.578 a 2.919, secondo il ministero della Sanità, e in totale sono state registrate 29 morti. Ma il presidente Aleksandr Lukashenko, in carica dal 1994, sostiene che i decessi siano stati causati da malattie pregresse: «Nessuno è morto di coronavirus nel nostro Paese. Lo dichiaro pubblicamente».
Nelle scorse settimane, del resto, l’ultimo dittatore d’Europa (come lo battezzò Condoleezza Rice) aveva liquidato la paura del virus come “corona- psicosi” e “info-pandemia”, continuato a giocare a hockey sul ghiaccio e suggerito di bere vodka, fare la banja (la sauna) o guidare il trattore per combattere il virus. Alla lista di raccomandazioni ieri ne ha aggiunta un’altra: «restare positivi». Poco importa che “positivo”, nell’era del Covid 19, abbia assunto tutt’altra connotazione. Lukashenko ha ripetuto più volte di essere più preoccupato per l’economia del Paese che per il virus, nonostante solo sabato un inviato dell’Organizzazione mondiale della sanità lo abbia invitato ad adottare misure restrittive, come il distanziamento sociale agli eventi di massa, perché, con un raddoppio dei casi ogni due-tre giorni, la pandemia sta entrando in una nuova “preoccupante” fase nell’ex Repubblica sovietica da nove milioni e mezzo di abitanti.
A dispetto di Lukashenko, molti abitanti hanno però iniziato ad adottare da sé le misure di auto-isolamento. Una “quarantena dal basso”. Lo scorso mese il numero di passeggeri nella metropolitana di Minsk è diminuito di un quarto, i proventi della ristorazione sono crollati dell’80% e quelli della vendita di beni non alimentari del 20%. Le aziende private incoraggiano il telelavoro. Attivisti e volontari raccolgono fondi per aiutare gli ospedali e firme per denunciare la disinformazione governativa. Persino le tifoserie boicottano i club tanto che la scorsa settimana, a una partita del Dinamo Brest, sugli spalti c’erano solo manichini con il volto di “fan virtuali”.
Nel Paese c’è chi paragona il negazionismo di Lukashenko al silenzio sovietico su Chernobyl nel 1986. Per Olga Karatch, attivista di Vitebsk, città tra le più colpite dal virus, «è come sul Titanic. In prima classe, la gente danza, canta e si diverte. Ma la terza classe è già sott’acqua e la gente piange e chiede di essere salvata. La prima classe però non reagisce» .