La Lettura, 12 aprile 2020
Trionfi e sfortune di Van Basten
Quando arrivò a Milano per giocare nel Milan pensava che Emporio Armani fosse un fratello di Giorgio. E notò subito, assieme al compagno Ruud Gullit che, rispetto agli olandesi, gli italiani tenevano molto all’aspetto esteriore. La differenza balzava agli occhi quando andavano ad allenarsi a Milanello. Lui e Ruud avevano per beauty case una busta di plastica e portavano calzini e scarpe da tennis. Costacurta, Baresi, Maldini e gli altri sfoggiavano scarpe di cuoio lucidate abbinate alla cintura dei pantaloni e calzini intonati al vestito. I loro beauty erano «eleganti borselli di pelle». E poi gli italiani «dopo la doccia si asciugavano i capelli col fon». Cosa che lasciava i due olandesi straniti come Totò e Peppino la prima volta a Milano: «Ruud e io, in Olanda, non avevamo mai visto uomini asciugarsi i capelli». Gli italiani avevano altre fissazioni. Ancelotti, per esempio, era capace di spiegare fino allo sfinimento come andava tagliato il prosciutto di Parma. A pranzo si intavolavano disquisizioni «sul condimento della pasta, su quale fosse il sugo più indicato». Lui e Ruud erano sempre più perplessi: «“Ma dove siamo finiti?”, pensavamo noi. Ma che razza di discorsi sono?». Marco van Basten sa essere anche simpatico, nonché attento antropologo, raccontando la sua vita, i suoi gol, i suoi trionfi e la sua sfortuna (immensa, che lo costrinse al ritiro ancora giovane, e caro agli dei degli stadi, quando era il centravanti più forte del mondo) in Fragile, un titolo perfetto nella sua cristallinità, una delle migliori autobiografie di calciatori per l’assoluta mancanza di diplomazia e la grande sincerità (anche con sé stesso). Van Basten dice verità nuove (una riguarda l’allenatore Arrigo Sacchi, giudicato un tradizionalissimo difensivista travestito da profeta del calcio d’avanguardia). Bel libro, ricco di introspezione psicologica e di precisissime descrizioni (alta ingegneria fisica e balistica) di alcuni dei gol più impensabili del Novecento.