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 2020  aprile 12 Domenica calendario

Una tempesta di raggi cosmici su Voyager

Molte missioni spaziali hanno un significato simbolico che va di pari passo con la loro importanza scientifica: lo sbarco sulla Luna e l’atterraggio su Marte sono passi da giganti. Ma c’è una missione che in senso simbolico surclassa le altre, e che in questi giorni di isolamento e di lockdown da coronavirus può ricordarci che qualcosa di noi terrestri sta comunque viaggiando a 16 chilometri al secondo fuori da tutti i confini, nel luogo più lontano mai raggiunto prima. Sono i Voyager, cioè Voyager 1 e Voyager 2, due sonde di appena 800 chilogrammi l’una, lanciate da Nasa Jpl nel 1977 e attualmente uscite dal Sistema solare, tuffate nello spazio interstellare della galassia. Si trovano rispettivamente a 22,2 e a 18,5 miliardi di chilometri dalla Terra, oltre Plutone, più lontano di qualunque altro manufatto umano, e la luce del Sole impiega 16,5 ore per raggiungerli. Sono arrivati fuori dall’Eliosfera, l’area dominata dal Sole con il suo vento solare fatto di particelle cariche e il suo campo magnetico, e hanno attraversato l’Eliopausa, ovvero il limite dell’Eliosfera dove il campo magnetico solare interagisce con lo spazio aperto in una regione più compressa e densa, uno scudo protettivo: lo hanno superato nel 2012 (Voyager 1) e nel 2018 (Voyager 2). Ora sono entrate nello spazio interstellare, l’una nell’emisfero Nord e l’altra nell’emisfero Sud, e da lì continuano a mandare informazioni e dati.
Quest’anno, nel 2020, è previsto che alcuni strumenti dei Voyager vengano spenti, mentre nel 2025 la riserva di plutonio che spinge le sonde dovrebbe esaurirsi (tra l’altro, l’antenna radio della Deep Space Network a Canberra, Australia, che controlla i Voyager, è appena entrata in manutenzione e resterà in modalità «solo ascolto» per 11 mesi): ma per il momento i due viaggiatori sono funzionanti, e le informazioni che in 43 anni hanno inviato sulla Terra basteranno per generazioni di studiosi. Non solo. Anche quando smetteranno di funzionare, i Voyager continueranno a viaggiare nella Via Lattea, la nostra galassia, come testimoni della nostra esistenza nel cosmo: entrambe le sonde portano a bordo il famoso disco d’oro, il golden record, idea dello scienziato e visionario Carl Sagan (1934-1996), padrino di questa e altre missioni spaziali. Un disco che contiene suoni della natura, opere di Johann Sebastian Bach e ritratti degli uomini e delle donne della Terra. Un messaggio in bottiglia per eventuali extraterrestri.
Ma perché sono così importanti i Voyager? Lo illustra a «la Lettura» Fabrizio Capaccioni, direttore dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (Iaps) dell’Inaf a Roma, che per cominciare spiega perché i Voyager, in sostanza gemelli, sono due: «Negli anni Settanta sono stati lanciati spesso satelliti in coppia: per una sorta di ridondanza e per garantire una maggiore probabilità di successo in tempi di rivalità tra americani e sovietici nella corsa allo spazio. Un uso che è rimasto anche in seguito, basti pensare ai due lander atterrati su Marte».
Figli di un’epoca di grandi imprese spaziali, continua l’astrofisico, «i Voyager sono state le prime missioni ambiziose per l’esplorazione del Sistema solare esterno. Fino ad allora solo la missione Pioneer si era avvicinata a Giove. Con Voyager però ci fu un salto di qualità anche tecnologico, soprattutto per gli “occhi” delle sonde, le prime a vantare un simile livello ingegneristico. Qualità che hanno dimostrato con le immagini di Giove e di Saturno e i dati sui satelliti di Nettuno».

Pur nella loro compattezza, le due sonde montano strumenti sofisticati, tra i quali l’Imaging Science Subsystem (Iss) per fotografare i corpi celesti, planetometri, strumenti per la spettrometria e la radiometria (Iris) e per l’analisi del plasma spaziale. Tanti e tali sono stati i dati, che Capaccioni ha ancora impresso l’effetto della messe di informazioni che lo investì quand’era studente, negli anni Ottanta: «Preparavo la tesi e arrivai nel gruppo di planetologi italiani allora guidato da Marcello Fulchignoni dove lavorava Angioletta Coradini, tra le più grandi astrofisiche italiane: era il 1981, l’epoca in cui disponemmo dei primi dati del Voyager. Be’, sono stato subito esaltato da questi dati, che mostravano per la prima volta gli uragani su Giove e gli anelli di Saturno. Infatti, grazie ai Voyager si è poi giunti a scoprire che Giove e Saturno sono giganti gassosi, mentre Urano e Nettuno sono giganti ghiacciati; si è scoperto che producono grandi quantità di energia, che hanno una circolazione atmosferica molto intensa, con grandi vortici polari. Le sonde hanno consentito l’osservazione dei loro satelliti, mondi che stanno dando i maggiori stimoli alla comunità scientifica per la ricerca di altre forme di vita. Ad esempio, lo studio di Titano, satellite di Saturno più grande di Mercurio, ha mostrato che è circondato da un’atmosfera molto densa e opaca, dentro la quale abbiamo potuto guardare grazie a un’altra sonda, Cassini. Con i Voyager si è data anche un’occhiata a Io, il satellite più vicino a Giove e il corpo più dinamico, con la Terra, nell’intero Sistema solare, con vulcani sempre attivi per la vicinanza di Giove».
Nati per esplorare il Sistema solare esterno, i Voyager hanno costruito un immenso bagaglio di dati. L’ultima scoperta è di questi giorni: la scienziata Gina DiBraccio (capo progetto della missione Mars Atmosphere and Volatile Evolution, Maven, che studia l’evoluzione dell’atmosfera su Marte), ha spulciato oggi i dati inviati da Voyager 2 nel lontano 1986, e insieme al collega Dan Gershman ha scoperto che la sonda ha attraversato proprio vicino a Urano un «plasmoide», cioè una bolla di plasma o gas elettrificato, staccatasi dalla coda magnetica del pianeta: i plasmoidi in fuga possono provocare perdite nell’atmosfera, impoverendola (fenomeno diffuso tra vari pianeti, Terra compresa). Ecco perché Urano sta perdendo parte della sua atmosfera.
Altre scoperte di questi giorni riguardano lo storico passaggio oltre l’Eliosfera, dove finisce l’ambiente creato dal Sole e inizia lo spazio interstellare: Voyager 1 ha scoperto che l’Eliosfera protegge la Terra dal 70% della radiazione cosmica, Voyager 2 lo ha confermato, segnalando i cambiamenti drammatici tra il «dentro» e il «fuori», con l’impennata dei raggi cosmici registrata appena uscito dalla protezione del Sole.
«Queste missioni – spiega Capaccioni – durano a lungo ma producono dati analizzati per decenni: negli anni Ottanta avevamo teorie più limitate, e abbiamo cercato nei dati quello che allora ci interessava. Oggi abbiamo un modello più evoluto, ad esempio sulla magnetosfera di Urano, e quegli stessi dati ci permettono di derivare ipotesi più complesse sulla sua struttura magnetica. Ma anche i Voyager si sono evoluti: è stato modificato in volo il software di bordo, cioè la missione è stata capace di un avanzamento tecnologico con aggiornamenti continui. Sono due oggetti costruiti dall’uomo, ma i più lontani dalla Terra che esistano, unici viaggiatori nello spazio interstellare».

Ma l’uomo non smetterà di viaggiare. La Nasa ha annunciato una missione per lo sbarco dell’uomo su Marte entro il 2033, e Capaccioni dell’Inaf accompagna «la Lettura» in una panoramica di sogni di viaggio, umano o no: «Marte continua ad attirarci per la possibilità di scoprire forme di vita presenti o passate, o tracce del fatto che la vita sarebbe sopravvissuta se Marte avesse conservato l’atmosfera. Ma esiste anche un altro ambito, lo sfruttamento delle risorse extraplanetarie: un esperimento riguarda l’estrazione di ossigeno dall’anidride carbonica marziana. Quanto alle missioni scientifiche, quest’anno doveva partire l’Exomars Rover dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, senza umani a bordo, che avrebbe trivellato per la prima volta Marte fino a due metri di profondità, dove le radiazioni non arrivano e si spera di trovare tracce di vita, ma il progetto è rimandato e la prossima finestra di lancio è tra due anni. Tra gli altri progetti (stimolati dalle visioni di Voyager e di Cassini) c’è la sonda Juice dell’Esa, JUpiter ICy moons Explorer, che esplorerà i satelliti di Giove e in particolare Europa, sotto il cui pack ghiacciato si ipotizza acqua liquida. Ma si può anche passeggiare nel tempo, non solo nello spazio: Rosetta è stata la prima sonda ad atterrare su una cometa, tra gli oggetti più antichi del cosmo, con materiali risalenti alla formazione del Sistema solare. E nell’anno 2300 il Voyager attraverserà la Nube di Oort, serbatoio di comete al di là dell’Eliosfera...».
Per il momento, si può andare sul sito voyager.jpl.nasa.gov: la pagina si apre sullo stato attuale di Voyager 1 e 2. Guardare i due contachilometri che si aggiornano in diretta a ogni frazione di secondo, e i miliardi di chilometri che aumentano a velocità impensabili, è un viaggio spaziale che tutti possiamo sperimentare.