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 2020  aprile 12 Domenica calendario

Quel primo sbarco degli americani a Beirut

Quando i 1.700 uomini del 2° reggimento Marines sbarcarono sulla spiaggia di Ramlet al Baida, a Beirut, dovettero farsi strada tra bagnanti e venditori di bibite. Nemmeno tre portaerei all’orizzonte avevano impedito ai fumatori sul lungomare di finire i loro narghile. Era il 15 luglio 1958: per la prima volta gli Stati Uniti intervenivano nel Levante mediorientale. In quelle successive non sarebbe stato così facile.
Quasi 60 anni di diplomazia, petrolio, alleanze fragili, inimicizie e amicizie mobili, spedizioni militari e guerre. La fatigue per questo dedalo senza vie d’uscita l’aveva già manifestata Barack Obama. Donald Trump la sta mettendo in pratica in modo confuso ma convinto che gli servirà elettoralmente in America. In Beirut 1958, Bruce Riedel di Brookings Institution, esperto d’intelligence e Medio Oriente, descrive dove e come tutto questo iniziò. E constata che gli errori di allora non furono assimilati ma ostinatamente ripetuti. Cambiavano i protagonisti ma superficialità e incomprensione per quel mondo complicato, restavano la costante americana in Medio Oriente.
La nascita d’Israele, la questione palestinese, i ricorrenti colpi di Stato arabi (tre in Siria solo nel 1949), la scoperta d’infiniti giacimenti petroliferi, chiarirono subito che nel dopoguerra il Medio Oriente sarebbe stato il primo produttore mondiale d’instabilità. Vedendo affondare le obsolete ambizioni coloniali di Francia e Gran Bretagna, ed emergere il nazionalismo arabo guidato dalla figura straordinaria ma ambigua di Gamal Nasser, gli Usa non potevano restarne fuori. Anche perché l’Urss aveva tutta l’intenzione di starne dentro.
Nel gennaio 1957, in una Guerra Fredda sempre più globale, il presidente Dwight Eisenhower presentò al Congresso la sua “Dottrina per il Medio Oriente”. Il primo interesse americano era il petrolio: allora la regione garantiva i due terzi della produzione mondiale. Se una potenza ostile l’avesse controllata «le nazioni libere del mondo sarebbero state in serio pericolo». Il secondo interesse era la fede. Sarebbe stato «intollerabile se i luoghi santi delle tre grandi religioni fossero soggette a un potere che glorifica l’ateismo», cioè l’Urss. Fra le priorità americane non c’era la sopravvivenza d’Israele: non era chiaro se il socialismo che lo governava ne avrebbe fatto un avamposto sovietico o l’unico caso democratico nella regione.
Le esigenze della Guerra fredda erano il compasso delle decisioni americane. La necessità di vincere il grande scontro sintetizzava tutte le complesse realtà, le sfumature, le relazioni tribali, etniche e religiose che erano e continuano ad essere la principale ragione dell’instabilità del Levante. Così Nasser, che nel 1956 aveva nazionalizzato il Canale di Suez e nel gennaio del ’58 si era unito con la Siria in una Repubblica Araba, divenne il comunista da contrastare, non l’uomo con cui parlare: ignorando che il presidente egiziano non era un marxista ma un nazionalista. Solo il senatore del Massachusetts, John Kennedy, accusava Eisenhower di guardare al Medio Oriente «quasi esclusivamente nel contesto della lotta fra Est e Ovest», sottovalutando «la forza decisiva del nazionalismo arabo». Da presidente, Kennedy avrebbe commesso lo stesso errore col Vietnam del Nord.
Ma il 14 luglio a Baghdad, ispirandosi a Nasser, un gruppo di ufficiali aveva sanguinosamente deposto la monarchia irachena, l’alleato più fidato dell’Occidente. Il giorno dopo niente avrebbe fermato lo sbarco americano a Beirut per salvare il Libano da un altro golpe. Solo dopo Eisenhower scoprì che il maronita Camille Chamoun che era andato a salvare, pretendeva un altro mandato presidenziale negato dalla Costituzione. 
Come oggi, il piccolo Libano con le sue 17 sette religiose era una spettacolare sintesi delle complessità mediorientali. Ma gli americani lo scoprirono arrivandoci. A ottobre i marines si ritirarono dopo aver perso un solo uomo e aver imposto a Chamoun un compromesso: il nuovo presidente sarebbe stato il capo delle forze armate, un cristiano, e premier il sunnita Rashid Kharame. Se avessero fatto la fatica di parlargli, gli americani avrebbero scoperto che lo voleva anche Nasser. Il primo sbarco fu anche il primo dei molti errori in Medio Oriente.