Il Sole 24 Ore, 12 aprile 2020
Vivere senza più l’orologio
Isolati spazialmente, privi di interazioni, sottratti a quotidianità scandite da rigidi orari, gli abitanti del pianeta Terra stanno vivendo un rapporto del tutto inusuale col tempo. Le scale temporali sono cambiate: non più minuti e ore, e neanche giorni, ma settimane e mesi. Il riferimento non è più il periodo di rotazione terrestre e le sue frazioni, ma un parametro inquietante, il tempo di raddoppiamento dei contagi. Nel linguaggio della fisica e della matematica, si è passati da una dinamica ciclica a una dinamica esponenziale, e la curva dei contagi è diventata un lugubre strumento per segnare il tempo.
Tra i tanti media con cui abbiamo a che fare in questi giorni ce n’è uno che stiamo trascurando: l’orologio. È Marshall McLuhan, in Understanding Media (trad. it. G li strumenti del comunicare, il Saggiatore), ad annoverare gli orologi tra i media, intesi come estensioni dell’uomo (l’orologio estenderebbe il senso della vista, dividendo il tempo in unità visive). Un altro fondamentale medium, per McLuhan, è il numero (estensione del senso tattile), ed è a questo – abitualmente negletto – che sembra essere rivolta oggi tutta la nostra attenzione. Sono numeri – dei contagiati, dei morti, dei guariti – quelli che registriamo quotidianamente: numeri che compongono curve, che vengono analizzati e interpretati, che acquistano senso scientifico (non umano, purtroppo) nel contesto di modelli matematici.
Se per il teorico della comunicazione l’orologio e il numero sono estensioni della fisiologia umana, per il fisico sono elementi della natura. Un orologio è semplicemente un sistema dotato di una scala caratteristica di tempo. I sistemi più diffusi di questo tipo sono quelli periodici (ossia ciclici) – un pendolo, una molla, un cristallo vibrante, un atomo che oscilla tra due stati –, le cui frequenze possono essere usate come standard per misurare il tempo. Ma non sono soltanto i sistemi ciclici a servire a tale scopo. Nel 1900 Ernest Rutherford dimostrò che la radioattività delle sostanze decresce in maniera esponenziale, con un tempo di dimezzamento (il tempo dopo il quale il numero di atomi radioattivi si riduce alla metà) caratteristico di ogni specie atomica. Le sostanze radioattive sono dunque anch’esse degli orologi, e le utilizziamo come tali quando, per esempio, datiamo un reperto con il carbonio 14.
La curva esponenziale della radioattività, come succede per i sistemi che decadono, è decrescente; invece, la dinamica dei sistemi che si riproducono senza limitazioni è descritta da esponenziali crescenti, con il tempo di dimezzamento sostituito dal tempo di raddoppiamento. Nel 1798 Thomas Robert Malthus notò che le popolazioni tendono a crescere – se le risorse sono illimitate – in progressione geometrica, cioè secondo una legge esponenziale. Questa legge è caratterizzata dal fatto che il tasso di crescita, cioè l’aumento percentuale del numero di individui, è costante (se è il 10% oggi, sarà il 10% domani, dopodomani ecc.). Ma poiché la popolazione cresce, l’incremento giornaliero del numero di individui diventa via via più grande: se si tratta dei contagiati durante un’epidemia, l’andamento esponenziale vuol letteralmente dire che le cose «vanno sempre peggio».
Un fenomeno di crescita esponenziale fu scoperto in ambito fisico nel 1939, alla vigilia della guerra. Era la reazione a catena, in cui la fissione di un nucleo di uranio causata da un neutrone produce due o tre altri neutroni, che a loro volta provocano altre fissioni, che producono altri neutroni, e così via. I fisici, che erano interessati a sfruttare il processo per produrre energia – e per costruire una bomba –, misero a punto un modello di crescita che conteneva due parametri fondamentali, un numero e un tempo: il numero di neutroni generati da un neutrone iniziale (il cosiddetto fattore di moltiplicazione) e il tempo di vita dei neutroni. Quando il fattore di moltiplicazione supera il valore critico 1, la reazione a catena – in assenza di altri effetti – procede in maniera incontrollata, esponenzialmente.
Qualche anno prima, due studiosi scozzesi, il tenente colonnello medico Anderson Gray McKendrick e il biochimico William Kermack, avevano elaborato un modello di crescita per certi aspetti simile, ma in tutt’altro contesto (è il bello della matematica, che offre una varietà di forme da riempire con contenuti diversi). I «neutroni» di McKendrick e Kermack erano i contagiati di un’epidemia: proprio come un neutrone in una reazione a catena, una persona infetta tende a infettarne altre, che a loro volta infettano altre persone, e così via. Rispetto ai neutroni c’è una complicazione: oltre che degli infetti, bisogna tener conto di coloro che sono suscettibili di infettarsi e dei guariti, e questi tre gruppi di individui hanno dinamiche correlate. Ma nelle prime fasi di un’epidemia tutto è più semplice: contano solo i contagiati, e questi si comportano più o meno come i neutroni, con una dinamica determinata da un numero e da un tempo: il numero medio di persone che un contagiato infetta (gli epidemiologi lo chiamano numero di riproduzione) e il tempo in cui si è contagiosi. Se il numero di riproduzione è maggiore di 1 la crescita dei contagiati è esponenziale, con un tempo di raddoppiamento tanto più breve – quindi con una crescita tanto più rapida – quanto più tale numero eccede l’unità.
È proprio per ridurre il numero di riproduzione che in tutto il mondo sono in atto stringenti misure di distanziamento sociale. Questi provvedimenti hanno funzionato a Wuhan, rallentando notevolmente il contagio, come mostrano alcuni recenti studi epidemiologici basati su una versione generalizzata del modello di McKendrick e Kermack, e stanno funzionando anche in Italia, dove il tempo di raddoppiamento dei contagiati, che nella prima settimana di marzo era inferiore a tre giorni (se fosse rimasto costante avremmo registrato verso la fine del mese più di un milione di individui infetti), si è progressivamente dilatato, con una notevole attenuazione della curva di crescita.
Quello che in questi giorni si sta realizzando in tutto il mondo è, in definitiva, un gigantesco esperimento di rallentamento del tempo, di dilatazione dell’unità di misura incorporata nell’orologio esponenziale dell’infezione. È anche un esperimento sui numeri; quelli su cui ciascuno di noi sta intervenendo con i propri comportamenti per mitigare gli effetti dell’epidemia. Quando la vita di tutti tornerà a essere regolata dai giri di lancette degli orologi, il senso comune del tempo e del numero, forse, non sarà più lo stesso.