Corriere della Sera, 12 aprile 2020
Sondaggi: le Regioni meglio del governo
Il perdurare dell’emergenza sanitaria non intacca il consenso per il governo e l’apprezzamento per le misure adottate per contenere il contagio: oggi infatti il 70% degli italiani le giudica molto o abbastanza efficaci – in aumento dell’8% rispetto a metà marzo – contro il 26% che non le reputa tali. L’efficacia dei provvedimenti prevale tra tutti, ma risulta più accentuata al Sud – meno colpito dall’epidemia – e tra gli elettori della maggioranza.
Il rapporto tra governo e Regioni è uno dei temi che fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria ha assunto grande rilevanza nel dibattito pubblico. Nonostante i giudizi largamente positivi per l’operato dell’esecutivo, alla domanda su chi si sia mosso con maggiore efficacia nell’affrontare l’emergenza in corso tra il governo e le Regioni maggiormente colpite, queste ultime prevalgono con il 42%, contro il 34% che indica il governo. Le opinioni si dividono nettamente nelle diverse aree del Paese: nel Nord si attribuiscono più meriti alle regioni, allorché nel Centro e nel Sud si privilegia quanto ha fatto il governo. Il dato si spiega in ragione prevalentemente dell’orientamento politico: non a caso, infatti, tre delle quattro regioni in cui si registra di gran lunga il maggior numero di contagi sono guidate dal centrodestra il cui elettorato propende più per la propria amministrazione locale che per il governo.
Ma alla domanda su chi dovrebbe gestire la sanità in Italia, il pendolo torna dalla parte dell’esecutivo, infatti il 50% ritiene che la materia dovrebbe essere gestita esclusivamente (18%) o prevalentemente (32%) dal governo, mentre il 35% è del parere che il ruolo spetti alle regioni, in via esclusiva (8%) o prevalente (27%). Anche in questo caso le opinioni divergono tra i diversi elettori: quelli della maggioranza prediligono una gestione governativa, quelli dell’opposizione (in particolare i leghisti) propendono per il decentramento.
L’emergenza sanitaria sta sfociando in una crisi economica che rischia di avere un impatto sociale molto rilevante. Cionondimeno due italiani su tre, pur consapevoli delle difficoltà economiche, ritengono che sia meglio continuare con la chiusura delle principali attività lavorative per evitare qualsiasi rischio di un nuovo aumento dei contagi, mentre il 22% è del parere che sia meglio ripartire quanto prima per evitare di aggravare la situazione economica del Paese. Il dato sale al 36% tra gli artigiani e i commercianti, le due categorie più colpite dalla chiusura.
Riguardo alle misure varate dal governo per far fronte all’emergenza sociale e lavorativa generata dal coronavirus le opinioni si dividono: per il 42% si sarebbe dovuto fare di più, mentre per il 39% rappresentano il massimo che si poteva fare fino a questo momento, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio. Gli imprenditori, i dirigenti, i liberi professionisti nonché i lavoratori autonomi e gli operai si aspettavano di più, come pure gli elettori dell’opposizione.
Sullo sfondo, nonostante prevalga la preoccupazione per i rischi di contagio, sta aumentando significativamente l’inquietudine per la situazione economica personale: se a febbraio il 20% prevedeva un peggioramento nei successivi 6 mesi, oggi i pessimisti sono saliti al 50%, con un picco del 62% tra i lavoratori autonomi.
Insomma, il senso di responsabilità e di coesione che la maggior parte dei cittadini continua a mostrare rischia di svanire sotto il peso della crisi.
L’epidemia viene spesso definita «guerra» e il termine è accompagnato dalla speranza che il Paese possa rivivere il dinamismo e la positività del secondo Dopoguerra, quello caratterizzato dal boom economico e dall’uscita dalla povertà. Ci si dimentica, però, che non tutti i dopoguerra sono uguali e bisogna fare di tutto per scongiurare il ripetersi del primo dei due Dopoguerra del secolo scorso.