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 2020  aprile 11 Sabato calendario

L’isolamento di David Hockney

«Ricorda, non possono cancellare la primavera». Nemmeno la pandemia può. In un giardino della Normandia, in questo momento, c’è un uomo di quasi 83 anni che ogni giorno si sveglia e restituisce senso all’arte. Proprio mentre i musei sono chiusi e i capolavori del mondo nascosti agli occhi di tutti. È David Hockney, il più grande pittore vivente. Da qualche mese si è trasferito in una casa nel nord della Francia, vicino Caen. Qui è rimasto in pieno lockdown. All’inizio di marzo ha cominciato a dipingere e a disegnare gli alberi con l’applicazione Brushes dell’i-Pad. Stava esplodendo il coronavirus. «Nel frattempo gli alberi, finito l’inverno, man mano fiorivano – dice lui – E io continuavo a dipingerli». Ma anche a inviare il risultato agli amici come segnale di speranza. «Molti mi hanno detto che guardarli rappresenta un momento di tregua dalle notizie di questi giorni». E così Hockney ha deciso di condividere alcuni dei suoi lavori con la Bbc e ora – per l’Italia – in esclusiva su Robinson.
Sono quelli che vedete in queste pagine. Mandorli in fiore, fiori piantati nella terra, boccioli, una casetta di legno costruita su un albero che sta rinascendo. Segnali della natura che procede, nonostante tutto. Do Remember: They Can’t Cancel the Spring è, infatti, il titolo che l’artista britannico ha dato a una composizione di narcisi.
È da dieci anni esatti che Hockney utilizza anche l’iPad per le sue creazioni: «Ho iniziato prima a dipingere con l’iPhone – ha raccontato – Poi, nel 2010, mi sono procurato uno dei primi iPad in California, quando in Gran Bretagna non ce l’aveva ancora nessuno. Per ogni dipinto impiego un’ora. Non c’è bisogno di nient’altro. Hai sempre i colori con te». Tutte le opere vengono rigorosamente stampate in alta definizione con pigmenti speciali. Alcune sono state esposte anche nella grande retrospettiva che nel 2017 ha fatto il giro del mondo e il pieno di visitatori ( quasi 500 mila solo alla Tate Britain), contribuendo al record di Portrait of an Artist ( Pool with Two Figures, 1972), battuto all’asta da Christie’s nel novembre 2018 per 90 milioni di dollari.
Il prossimo progetto è proprio quello di mettere insieme un’installazione composta da una serie di disegni della campagna normanna realizzati con l’iPad in questi giorni di solitudine. Un po’ come aveva fatto con i cicli delle stagioni dipinti nel suo Yorkshire una decina di anni fa. Ma il modello dichiarato, stavolta, è l’Arazzo di Bayeux, custodito nella città francese che si trova a 40 chilometri dalla casa di Hockney. Si tratta di un tessuto dell’XI secolo, lungo 90 metri, su cui è raffigurata la conquista normanna dell’Inghilterra, culminata con la battaglia di Hastings del 1066: una testimonianza unica della vita quotidiana medievale in tempo di guerra.
Quella dell’artista, invece, sarà la testimonianza della natura che rinasce comunque, mentre il mondo è isolato nella guerra all’epidemia: «La gente ama le immagini. Non scompariranno. Si pensava che il cinema avrebbe ucciso il teatro, ma il teatro esisterà sempre perché è vivo. Il disegno e la pittura continueranno a esistere perché la gente ne ha bisogno. Sono assolutamente convinto che la pittura sarà importante nel futuro». L’arte, come la primavera e le stagioni che si succedono, è una costante della vita dell’uomo. Qualsiasi cosa accada.
Per Hockney c’è ancora bisogno di disegnare il mondo perché è l’unico modo per fare davvero esperienza della natura. «Lasciate da parte la fotografia che appiattisce tutto», invita. Basta una matita, o anche un device, se si preferisce, per osservare e ricreare quello che guardiamo dalla finestra. «Si costruisce così un rapporto intimo con l’oggetto della nostra osservazione, ci impossessiamo dello spazio che viviamo. Con un freddo obiettivo non sarebbe possibile».
Eppure una fotografia l’artista la diffonde: è stata scattata dall’immancabile assistente JP. C’è il pittore che sorride seduto con i suoi colori – quelli fisici, non digitali – una tela sul tavolo, il cane Ruby sull’attenti. Tutti i giorni, come fa da quasi settant’anni, officia il rito della pittura: come nella nativa Bradford, nello Yorkshire, a Londra o sulle colline di Hollywood, dove ha abitato fino a poco tempo fa. Non soffre l’isolamento perché la sordità ha già frapposto una distanza tra lui e gli altri per cui non riesce a lamentarsi. Evita da un po’ la folla, aggira le inaugurazioni, quando può.
Alla fine, la sua lezione è questa: «Mi piace osservare il mondo, mi è sempre interessato capire come vediamo e cosa vediamo. L’arte non è finita, come non è finita la storia delle immagini. In certi periodi la gente si forma l’idea che tutto stia finendo. Non finisce affatto. Semplicemente, va avanti». Come le stagioni.