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 2020  aprile 11 Sabato calendario

Perché leggere Choderlos de Laclos

Fu amore a prima vista. Rinnovato dalle successive letture, che quasi mai garantiscono uguale godimento – basta un niente per rompere l’incanto, scorgere qualche difetto, prendere poco gusto alla ripetizione. Vale per i libri letti quel che Roland Barthes pensava delle fotografie: sono incatenate a un momento del passato che più non tornerà. Ecco perché molti si dilettano a riguardare gli scatti o a rileggere, altri preferiscono di no (scriveva prima dei “miti d’oggi” chiamati selfie, ormai così numerosi che nessuno li va più a riguardare, la nostalgia troverà altri appigli).
Le relazioni pericolose fu amore a prima vista perché stabiliva la superiorità del romanzesco – inteso come narrazione, fiction, invenzione, manipolazione – sulla realtà. Vale per la letteratura come per la vita: in mancanza, entrambe risultano alquanto noiose. L’amore per Choderlos de Laclos, per i suoi personaggi e per le sue trame – nel senso del plot e nel senso dell’inganno – si rinnova ogni volta che sentiamo inneggiare al dialogo, all’autofiction, all’autenticità, al ritrovare se stessi spogliandosi degli orpelli. Pure alla scrittura delle donne, tanto invocata quanto scarsa di ragazze per cui fare il tifo.
Era un militare di carriera, scrittore a tempo perso per non annoiarsi tra un incarico e l’altro. Conosceva la guerra, e senza esitazione ne applicò le tattiche, le avanzate, le ritirate, le imboscate, le finte alle relazioni tra maschi e femmine. Celebrò l’artificio con un romanzo epistolare che ostenta presa diretta sui cuori in tumulto e sui cuori calcolatori, senza un narratore di mezzo (una sorta di reality show, con gli occhi di oggi). Per il romanziere, un tour de force: i personaggi vanno costruiti attraverso quel che scrivono di sé nelle lettere. Niente descrizioni né altri aiuti – da parte di chi tutto osserva e tutto racconta – per chiarire i punti oscuri e riempire i buchi.
Aveva intenzioni serie, Choderlos de Laclos. Di denuncia: «Lettere raccolte in una società e pubblicate per istruirne altre», recita il sottotitolo. Ottime intenzioni, se non si fosse fatto prendere la mano dai personaggi. La marchesa di Merteuil conquista con la sua giornata scandita da lettere, macchinazioni, amanti in carica o ex da intrattenere, serate all’opera con poco interesse per lo spettacolo e moltissimo per le conversazioni nel palco. Dichiara di essersi costruita da sé, con rigorosa disciplina, dopo aver preso atto di quel che la società di fine settecento consentiva alle donne. Quasi niente. Non restava che architettare piani e accumulare menzogne. La marchesa di Merteuil si esercita nella simulazione ( dei buoni sentimenti) e nella dissimulazione (delle cattive intenzioni). Non sono in cima alla lista delle virtù, per chi considera la sincerità come il rimedio che guarisce ogni male, e produrrà un mondo migliore, più femminile e meno guerrafondaio. Parlandone da personaggio, è una gigantessa che domina una perfetta macchina romanzesca. Le lettere stanno in luogo dei dialoghi, commentano, danno ordini e contrordini, illustrano il mondo mentre lo costruiscono. Serviva un interlocutore all’altezza. Ed ecco arrivare il dandy-seduttore-libertino Visconte di Valmont, controparte maschile (un po’ meno brillante, succede a chi non ha tutto il mondo contro) della marchesa di Merteuil.
Sono stati amanti, spiega una nota (scritta dallo stesso redattore che ha cambiato i nomi e tolto di mezzo qualche lettera ridondante). Poi si sono allontanati, senza gravi strascichi. Si ritrovano per una vendetta incrociata. Pedina numero uno: la giovane Cécile Volanges, tornata a casa dal convento per andare sposa. Tocca a lei una delle prime frasi che viene voglia di annotare, in una lettera indirizzata all’amica del cuore: «ecco un bel po’ di tempo, se avessi qualcosa da dirti» (istruita dalla marchesa di Merteuil, imparerà benissimo la lezione).
Pedina numero due: la devota signora Tourvel, in campagna lontana dal marito, e si sa che la noia fa più danni di qualsiasi tentazione. Tutta casa, chiesa, ragione che prevale sulle passioni – siamo nel secolo dei Lumi, «che hanno reso ogni uomo onesto e ogni donna modesta e riservata», leggiamo nell’avvertenza dell’editore – toccheranno a lei gli intermezzi comici. Per esempio, il tormentone delle tante interminabili lettere scritte per ribadire il concetto «non dovremmo scriverci mai più». Seguono altrettanti incontri – lei sostiene – «per interrompere la relazione e ritrovare la pace interiore».
La geometria prevede che il visconte di Valmont seduca la fortezza inespugnabile, appunto madame Tourvel. In palio c’è una notte con la marchesa di Merteuil: vinta la resistenza della recalcitrante e devota sposa, si offre al visconte come ricompensa. Serve però una prova scritta. L’ingenua Sophie viene messa di mezzo perché la marchesa – che non dimentica mai un torto – vuole vendicarsi del marito destinato alla ragazza.
Choderlos de Laclos riveste lo scheletro di scaramucce, dispetti, pillole di perfida saggezza, consigli di comportamento, doppi giochi, pettegolezzi e maldicenze. Verso la fine del romanzo, quando le relazioni diventano pericolose davvero, non saranno solo salotti e boudoir, arrivano i duelli e le fughe in convento.
La marchesa di Merteuil finisce malissimo. Ma nessuno ci toglierà dalla testa che Choderlos de Laclos abbia atteso un po’ troppo a lungo per risultare convincente. Le malefatte non pagano, e anzi vengono punite. Ma intanto abbiamo trascorso ore e ore in compagnia di una strepitosa ragazza che quando cade in disgrazia non fa la vittima e non si lascia scappare una parola di lamento.
Di più: abbiamo goduto qualche centinaio di pagine che prendono sul serio – magari a fin di male, ma sempre sul serio – il corteggiamento, la seduzione, le invenzioni teatrali, l’arte del racconto, «lo spettacolo d’arte varia di un uomo innamorato di te» (copyright Paolo Conte). Guardatevi intorno, e converrete che sono virtù oggi poco praticate. Vale per la letteratura e vale per la vita.