Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  aprile 11 Sabato calendario

Perché leggere Simone de Beauvoir

Le italiane erano ancora quelle inesistenti decretate dal fascismo e infatti continuavano a innamorarsi, come si dice tuttora, perdutamente, anche di uomini che se non fossero stati maschi e quindi superiori, maestri e padroni, avrebbero potuto valere la metà della sedotta e anche nulla, ma non era questo il punto: senza la promozione di un uomo troppe porte restavano ancora chiuse, chi eravamo noi, se non umani di seconda scelta, appunto un sesso secondario? Era il 1949, col naso fuori dalle rovine della guerra e già il potere immenso e contrastato del voto, loro i maschi, ma anche noi, le femmine, un’illusione di uguaglianza e pari opportunità per tutti, la prima prova dell’ignota democrazia. Dalla Francia risuonava una frase sibillina, che spaventava e incantava, pareva una barzelletta o un abracadabra: «Donna non si nasce, donna si diventa». Cioè?
Era l’idea da cui era nato un librone dal titolo inquietante, Le deuxième sexe, scritto da una quarantenne francese che non si era ancora capito se era celebre per se stessa o perché era la compagna (non la moglie!) di Jean-Paul Sartre, lui sì una celebrità, col suo esistenzialismo e comunismo e soprattutto un romanzo, La nausea, pubblicato da noi l’anno prima, nel 1948, dieci anni dopo la Francia. Un prima e un dopo la guerra da noi persa, che ci aveva separato, reso nemici. Simone de Beauvoir non stava all’ombra del suo uomo, e che uomo, bruttino ma genio, come sarebbe stato giusto nel contesto sociale d’epoca, ma lei era assolutamente autonoma, con idee filosofiche e politiche parzialmente simili, però nel suo prorompente approccio all’invenzione millenaria della femminilità lei stava cambiando il mondo, lui, una star della cultura, sarebbe diventato un classico oggi un po’ fané, che la storia ha spesso smentito. Dalle italiane d’anteguerra che sapevano il francese e letto il misterioso, forse peccaminoso saggio in originale, arrivavano stupefacenti rivelazioni storiche, filosofiche, letterarie, antropologiche, religiose eccetera di un nostro asservimento di cui per la maggior parte non ci eravamo rese conto anche perché, stando strettamente alle regole maschili, si poteva cavarsela benissimo con l’eterno aiuto dell’ipocrisia e qualche terribile segreto che le grandi seduttrici si guardano bene dal rivelare a noi meschine. E infatti l’intellettuale parigina ci accusava tutte di essere complici della nostra secondarietà e prigionia, schiave consenzienti, indifferenti alle umiliazioni, senza desideri di eguaglianza. Si aspettava con impazienza questa nostra crocefissione per pensarci su o rispondere a tono, e finalmente arrivò nelle nostre librerie l’ormai famoso, incendiario Il secondo sesso: nel 1961, 12 anni dopo l’uscita in Francia. Nella bella postfazione, apparsa in edizioni successive (la mia è del 2008) e con la prefazione di Julia Kristeva, Liliana Rampello ricorda come a metà degli anni ’50 il saggio comincia a circolare in originale anche da noi «tra le giovani donne impegnate politicamente nei grandi partiti, (Pci, Psi e Dc) e nelle organizzazioni femminili di massa» e le reazioni furono subito molto diverse; era una rivoluzione necessaria, no, c’erano altre priorità, e Rampello cita Luciana Castellina a cui le compagne tolsero il saluto perché teneva il saggio sulfureo sul comodino. Lo comprai anche io, per curiosità ma anche perché si doveva: 5000 lire; 533 pagine divise in tre parti, copertina verde e bianca, severa, inserito nella collana proba “Biblioteca di scienze dell’uomo” forse per non dar nell’occhio, per non incuriosire vescovi e politici, ma anche perché pensai io, ancora innocente, pur scritto da una donna che parla di donne, era ovvio che la scienza era cosa da uomini.
Dato il minaccioso spessore del volume, si cominciò a saltare i capitoli della mantide religiosa cui il maschio è sottomesso, della psicoanalisi e l’invidia del pene, dell’ingiustizia dal pleistocene lungo i secoli e dell’ideologia cristiana, della misoginia di Montherlant e tutti gli altri. «La storia delle donne è stata scritta dagli uomini» e noi l’avevamo accettato, ci eravamo adattate ad essere quello che non eravamo, al destino che altri avevano deciso, senza interpellarci. Di pagina in pagina, di sgridata in sgridata, fu con spavento che ci specchiammo nelle critiche di de Beauvoir «all’alienazione sessuale, economica e politica, al matrimonio borghese, alle leggi repressive in materia di contraccezione e aborto» (Kristeva). Parole impronunciabili, impubblicabili: vagina, verginità, penetrazione, stupro, piacere. Tutto ciò che è stato scritto in questi settant’anni dai vari femminismi, pro o contro di lei, le ricerche, le battaglie, le conquiste, oso dire che, sperando nella distrazione delle sapienti, nasce da questo libro, raccontato in una lingua squisita, con una cultura immensa, filosofica ed esistenzialista. Il secondo sesso divenne subito ovunque un bestseller, erano tempi quelli in cui la gente immaginava la cultura come necessaria e pure divertente: in Francia vendute 500 copie al giorno, negli Stati Uniti un milione in un mese, messo all’indice dal Vaticano nel 1956, apprezzato da qualche critico lungimirante, demonizzato dai pensatori del momento, i comunisti, ma anche il cattolico François Mauriac che scrive alla rivista Les Temps Modernes, «Adesso so tutto sulla vagina della vostra padrona».
La “padrona”, cioè la fondatrice (con Sartre), era naturalmente Simone de Beauvoir. Preso subito in considerazione da Alberto Mondadori in contrasto col padre Arnoldo, c’erano dubbi sulla sua pubblicazione perché secondo il giovane filosofo Remo Cantoni «Non è la de Beauvoir una grande scrittrice o una profonda pensatrice: ma ha accumulato in quest’opera un materiale vario e gustoso…». Soprattutto era troppo lungo, due volumi e per la sua nuova casa editrice, Il Saggiatore. Chiese un taglio di 240 pagine affidandolo a Roberto Cantini: poi arrivò il giovane Mario Andreose (oggi presidente della Nave di Teseo), che si innamorò del testo anche per ragioni letterarie e convinse l’editore a pubblicarlo in un solo volume ma nella sua interezza, «come uomo mi aiutò molto nei rapporti con le donne» ricorda «e divenne immediatamente un grande successo». Erano tempi strani, davvero c’era sete di cultura e se ne discuteva, ma anche allora era tempo di gossip, rivolto pure a filosofi e pensatori, e quella signora che pareva severa, intoccabile, assomigliando alla cattivissima Mrs Danvers del meraviglioso film Rebecca la prima moglie aveva vissuto negli anni ’50 una sfrenata passione ricambiata per lo scrittore americano Nelson Algren, e poi avrebbe convissuto sette anni con Claude Lanzmann; Sartre cornuto era inaccettabile, per i letterati, i filosofi, gli esistenzialisti e i comunisti. Anche se l’adultera femminista non aveva scelto male: l’autore di L’uomo dal braccio d’oro, romanzo allora molto letto diventato un grande film con Frank Sinatra e Kim Novak, e il documentarista che poi avrebbe girato Shoah.
Non so quanto si vende ancora un romanzo di Sartre, Il secondo sesso non ha mai smesso di essere ristampato e venduto, con decine di diverse copertine: l’editore Luca Formenton parla di più di 140 mila copie, e continua.