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 2020  aprile 11 Sabato calendario

L’isolamento di Pierfrancesco Favino

La corsa senza respiro di Pierfrancesco Favino – Buscetta, Craxi e Gli anni più belli – si è fermata. Inevitabilmente. «Ho interpretato negli ultimi tre anni personaggi meravigliosi e adesso ho scoperto la bellezza di saper montare un film».
Stefano Massini ha lanciato un appello: la cultura è utile.
«L’ho sempre pensato, lo so. Ma voglio uscire dal dibattito antico che colloca la cultura in zona snob.
Voglio essere pratico. Quante persone oggi avrebbero il desiderio di fare una passeggiata per città monumentali, entrare in un cinema, in un teatro, in un museo, a vedere un quadro in una chiesa.
Questa è l’importanza della cultura che ci coccola l’anima, ci fa capire che non siamo fatti solo del tempo del lavoro e dell’obbligo, ci accompagna nel piacere di elevare lo spirito. Un film, un gioco, una discoteca. Tutto questo è cultura».
È anche un’industria che funziona.
«Un grandissimo asset. È un valore anche economico, non c’è niente di male a dirlo. E va valorizzato. Anche ora possiamo aiutare la nostra cultura e il nostro Paese: le strade sono vuote? Occupiamoci del decoro urbano delle città d’arte, mettendo i lavoratori in condizioni di farlo in sicurezza. Il mio piccolo appello: semmai ci saranno vacanze, io le passerò in Italia, la filiera italiana deve essere premiata. Sarebbe importante che lo facessero tutti. Sappiamo che le sale e i teatri saranno gli ultimi a riaprire. C’è un decreto che stanzia soldi per restaurare le sale, approfittiamo affinché quando si riparte regalino un’esperienza diversa dalla tv. O le ritroveremo trasformate in supermercati e garage».
I set in Italia si sono fermati.
«Io stavo girando Corro da te di Riccardo Milani, una commedia di amore e disabilità, ci siamo fermati prima della scena finale».
Cento film sospesi. Alcuni tentano di uscire su piattaforma, altri aspettano. Lei avrebbe preferito che “Gli anni più belli” avesse proseguito la corsa in tv?
«Quando tutto ricomincerà ci sarà un ingorgo. Ed è vero che i film hanno una scadenza. Sì, avrei preferito che Gli anni più belli continuasse sulle piattaforme ma era difficile valutarlo senza sapere quanto sarebbe durato il blocco.
Però i film in tv vanno valorizzati, c’è bisogno di attenzione, che vengano programmati in prima serata, come sostiene Pupi Avati. Dobbiamo creare un rapporto diretto con il pubblico, insegnare il cinema a scuola per avere un nuovo pubblico e tra qualche anno una nuova generazione di sceneggiatori e registi. I ragazzi crescono con l’idea che il nostro cinema sia di serie B, bersagliati da modelli angloamericani. In tutto il mondo il cinema si studia, io sono disponibile a raccontarlo nelle scuole, molti colleghi lo farebbero».
Lei dirige a Firenze la scuola D’Oltrarno.
«Gratuita per i ragazzi, con fondi pubblici che usiamo con grande virtù. Ci credo moltissimo, mi impegno perché questi ragazzi siano più bravi di me».
Lei e sua moglie e collega Anna Ferzetti viaggiate per mestiere.
Come vivete questi giorni da reclusi?
«Sono consapevole di vivere una condizione di privilegio, uno dei motivi per cui non mi sono fatto vedere sui social è anche questo: stiamo imparando a rispettare gli spazi reciproci, abbiamo a turno il momento di nervosismo. Non avevamo mai passato tanto tempo insieme, ti fa scoprire cose nuove di chi ci è vicino e di noi stessi. Ad esempio una manualità che non sapevo di avere, mi sto scoprendo elettricista di un certo livello, faccio un corso di montaggio cinematografico online, mi dedico a nuovi progetti. Ma prima cucino, faccio i compiti con le mie figlie».
Qualche difficoltà?
«La matematica. Torna al ralenti l’incubo delle interrogazioni, il suono ovattato della prof, il rumore del gesso sulla lavagna e il mio encefalogramma piatto. Fino a qualche giorno fa quando mia figlia mi chiedeva aiuto millantavo impegni e andavo a cercare su internet le risposte. Ora ho ammesso l’ignoranza, “spero che tu capisca che ho altre doti…”».
Lei è un attore drammatico con grandi capacità comiche.
Intrattiene le sue figlie?
«Al contrario, mi impongono di non farlo. Dei comici si dice che siano depressi, secondo me è perché a casa gli dicono “vabbè ora basta, smetti di fare il cretino”. Resiste solo la piccola, riesco a giocare durante i compiti, divento preside, bidello...».
Pensa più al passato o progetta il futuro?
«Non sono nostalgico. Mia figlia mi ha ricordato che l’anno scorso in questo periodo eravamo tutti ad Hammamet. Il passato mi accompagna, mi ha reso quel che sono. Ma preferisco stare al telefono con Bellocchio o Amelio, Mastandrea, Papaleo. Giovanni Veronesi in quarantena in una casa senza computer sta scrivendo il film a mano: le sue cronache sono esilaranti».