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 2020  aprile 11 Sabato calendario

Come si spiegano i morti per il virus in Lombardia

Fra le vittime del coronavirus nel mondo, una su 10 è morta in Lombardia. Se la letalità in Germania è del 2,2%, in Italia arriva al 12,7% e in Lombardia schizza al 18%. Sembra stregato, il coronavirus italiano. Mentre rallentano i contagi, la letalità (rapporto fra decessi e casi positivi) marcia ancora a testa alta: la più alta del mondo. Solo Wuhan nella fase iniziale, quando ancora la malattia era misteriosa, era arrivata al 15%.
Una ragione della “maledizione italiana” l’ha spiegata ieri Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità: tra la comparsa dei sintomi e il decesso passano in media 18 giorni. «Le morti avvengono dalle 2 alle 5 settimane dopo il contagio. C’è un trascinamento lungo. Questa è una delle ragioni per cui continuiamo a vedere un numero di decessi importante».
Un’altra ragione è che l’Italia è una delle nazioni più anziane del mondo: il 23% dei cittadini ha più di 65 anni. Ma Germania e Giappone non sono poi così differenti, e il paese asiatico ha l’1,8% di mortalità. È vero anche che in alcune fasi abbiamo fatto pochi tamponi, ma con un’accelerazione degli ultimi giorni siamo arrivati a oltre 900 mila test. Oggi siamo fra i paesi più virtuosi in rapporto al numero di abitanti.
La strage delle Rsa — 1822 vittime solo in Lombardia, calcola Brusaferro — ha sicuramente pesato secondo Pier Luigi Lopalco, epidemiologo dell’università di Pisa e responsabile del contenimento dell’epidemia in Puglia. «Con il distanziamento sociale abbiamo frenato la diffusione del virus nella comunità, ma non siamo riusciti a proteggere le Rsa». Secondo Lopalco, «vedremo nei prossimi giorni un ulteriore calo dei contagi, ma resterà la coda dei decessi. Il tasso di letalità potrebbe dunque salire ancora un po’, per poi abbassarsi man mano che ci avviciniamo allo spegnimento dell’epidemia».
Di “tempesta perfetta” nel Nord Italia parla Guido Silvestri, virologo della Emory University ad Atlanta. «Vi hanno contribuito diversi fattori. Un ritardo nel mettere in atto l’isolamento sociale, che ha favorito la circolazione del virus. Una base demografica con molti anziani, spesso attivi socialmente. Il sovraccarico ospedaliero e la diffusione della malattia tra gli operatori sanitari. Per finire, condizioni climatiche che possono aver favorito sia la diffusione che la letalità del virus». Per Silvestri il freddo è alleato del microrganismo e la bella stagione dovrebbe aiutare a frenare i contagi. Il sospetto di molti scienziati è che ci siano poi delle cause genetiche. Un diverso corredo del Dna potrebbe spiegare perché alcune persone sono asintomatiche e altre vengono colpite duramente. Un’équipe dell’Istituto Humanitas di Rozzano, guidata da Alberto Mantovani, Rosanna Asselta e Stefano Duga, ha trovato fra gli italiani delle varianti particolari di un gene che regola la molecola Tmprss2: una delle porte usate dal virus per entrare nelle cellule. Non è ancora una prova, ma forse un primo indizio per spiegare la cattiveria della nostra epidemia.
Né mancano le disparità nei decessi fra le regioni. Al panorama della penisola ha dedicato un’analisi Antonio Piersanti, fisico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con i colleghi Sandro Fanesi e Daniele Melini: «Si va da poco meno del 4% dell’Umbria a oltre il 18% della Lombardia». Le altre regioni dove sono più alte le probabilità di morire se ci si ammala sono Marche, Liguria, Emilia Romagna e Val d’Aosta. «I tassi di letalità più bassi si registrano in Umbria, Basilicata, Molise, Veneto e Sardegna. A parte il Veneto, c’è una correlazione significativa fra incidenza della malattia e mortalità. Evidenza che non era scontata a priori». Vuol dire che dove sfugge di mano, il virus prende il sopravvento sui sistemi sanitari e sui metodi di tracciamento. E questo è un nemico che, quando gli è concesso di guidare la partita, non perdona.