Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  aprile 11 Sabato calendario

Judith Schalansky e l’arte di dimenticare

La conversazione con Judith Schalansky comincia con una mail perduta. «Non l’ho ricevuta», «ma io l’ho mandata!». Era scomparsa nella casella di posta, lì nascosta nello «spam», ironia della sorte ma destino perfetto per iniziare la comunicazione con chi ci deve parlare di ricordi rimossi e di «mondi che non esistono più». «È comico è buffo, è meraviglioso!», ci dice l’autrice, scherzando sul piccolo incidente. E poi, raccontandoci la genesi di Inventario di alcune cose perdute, ci dà il libretto di istruzioni per sfogliare, leggere, maneggiare questo bianco oggetto magico che è il suo libro. 
Un viaggio nostalgico tra manufatti e manoscritti che la memoria del mondo ha accantonato, dai carmi perduti di Saffo ai disegni della Luna di Kinau. Un colto e spassoso catalogo, per fare nel frattempo i conti con il significato più profondo di un concetto caro ai greci antichi come a tutti noi (sempre avidi di spazio iCloud): la memoria che si tramanderà di noi stessi. 
"Vivere significa lasciar andare, fare esperienza della perdita", lei scrive. Come ci si allena alla separazione?
«Temo che non ci si possa preparare alle grandi perdite. C’è una sorta di credenza infantile che dice che se si immagina il terribile, se lo si anticipa nella propria mente, non accadrà. O, se succede, almeno si è preparati. Col cavolo! Ho passato anni ad affrontare le perdite, ma quando un anno fa i pioppi alti davanti alla finestra del nostro studio a Berlino sono stati abbattuti, ho avuto la sensazione che mi tagliassero una gamba. Mi sono messa in contatto con il responsabile degli spazi verdi e sono riuscita a fare piantare tre tigli. Sono ancora giovani e piccoli per essere visti dalla finestra, ma il fatto che un giorno, quando sarò morta, emaneranno il loro dolce profumo è una sorta di conforto».
È stata una separazione a spingerla a scrivere?
«Nella mia infanzia ho avuto il terrore di essere lasciata sola dai genitori. Ma era abbastanza comune che i genitori lasciassero i figli soli la sera. Quando avevo 9 anni, ho trovato un album con le foto del matrimonio, che mostravano mia madre con uno strano uomo come sposo. Ho poi scoperto che quello era il mio padre biologico, dal quale mia madre si era separata quando avevo due anni. Poco dopo si è risposata. La mia paura di sposarmi aveva dunque una ragione fondata. Dopotutto, ero stata abbandonata. C’è un pensiero che può aiutare in situazioni di panico: il male probabilmente non è qualcosa che deve ancora venire, ma qualcosa che è già successo. Sono stata in psicoanalisi per otto anni. È così che si impara a rielaborare il lutto. Non si può vivere una vita senza perdite. Come scrittrice, ho l’opportunità di addomesticare l’esperienza attraverso la letteratura. Così, nel libro descrivo come saltai giù dalla finestra all’età di quasi 4 anni per non rimanere sola nell’appartamento. Un altro brano racconta la storia della separazione dei miei genitori - nella versione di mia madre: mio padre pare sia stato visto con un’altra donna nel Palazzo della Repubblica (l’ex parlamento della Ddr, ndr) demolito (nel 2008, ndr) per lasciare posto al Palazzo degli Hohenzollern, oggi in via di ricostruzione. Il privato si mescola al politico, nella mia vita e nella memoria di Berlino».
Il suo libro è come un "apriscatole dei ricordi": "Tutto ciò che ancora esiste, è semplicemente ciò che è rimasto", si legge. Discorso spietato, non crede?
«Ci può essere anche qualcosa di confortante nel rendersi conto che la storia del mondo avrebbe potuto prendere un numero infinito di corsi alternativi».
Lei tiene molto all’oblio, ma oggi, il mondo digitale sembra la negazione. Per farsi dimenticare da Google c’è voluta una legge, difficile da rispettare. Perché dobbiamo per forza dimenticare?
«Beh, i dati digitali dei miei studi passati non sono più disponibili sul mio computer! E le foto che ho scattato con la mia prima fotocamera digitale sono andate perdute perché si è rotta la scheda di memoria. Gli album fotografici della mia infanzia, invece, sono ancora lì. Anche internet dimentica molto bene! L’algoritmo cambia costantemente e i siti web possono scomparire in una sola notte. L’esperienza ci insegna che, per una nuova tecnologia, le testimonianze dei primi anni vanno quasi completamente perdute. Circa l’80% dei film muti non sono conservati. Ma se saremo presto in grado di documentare tutto, o se gli strumenti digitali lo faranno per noi, tutto questo assomiglierà al paradosso della mappa dell’impero di Borges in scala 1:1. L’archivio non sarebbe più archivio se conservasse tutto. Sarebbe una discarica del passato, che impedisce di continuare a vivere. L’orrore assoluto».
Anche il Dna conserva tutto: l’epigenetica insegna che nei nostri codici ci sono scritti persino i segni dei traumi subiti. Lo stesso fa la coscienza (un effetto evidente sono i sogni, secondo quel che diceva Freud). L’uomo è un «Cloud» deambulante?
«Sì, è una bella immagine. Se non che in questo iCloud umano non è possibile utilizzare il tasto "ricerca". I risultati dell’epigenetica sono molto affascinanti. Le esperienze lasciano il segno sul nostro Dna. Ma ciò non significa che siano facili da leggere. È, a quanto pare, una forma di letteratura molto complessa, un codice segreto dove non basta capire le singole parole».
Dai versi perduti (con musica) dei carmi di Saffo, all’atollo delle Isole Cook, a Villa Sacchetti a Roma, alla tela di Caspar Friedrich. Come ha scovato questi "oggetti" perduti e cosa li lega?
«Sono loro che hanno trovato me. Sul serio. Cercavo cose dimenticate che mi dessero l’opportunità di raccontare esperienze di perdita in un senso doppio. Così, il saggio che ho scritto su Saffo non riguarda solo il suo carme non conservato, ma anche quelle fantasie con cui gli spazi vuoti sono stati riempiti più e più volte - non ultimo lo spazio vuoto della sessualità tra donne, che per lungo tempo è stato considerato qualcosa che fondamentalmente non esiste -. Solo qualcosa che possiamo nominare può essere percepito. Tigri del Caspio, leoni berberi, animali estinti eppure in qualche modo conservati. In un’altra storia ci troviamo nella testa della quarantaseienne Greta Garbo, che non gira un film da anni, e sperimentiamo in prima persona cosa significa essere congelati in un’icona vivente, che non deve invecchiare. Il libro dovrebbe funzionare come una Wundekammer. Gli oggetti sembrano essere molto diversi, ma nella loro disposizione fanno collegamenti segreti».
Non le è mai venuta la voglia di conoscere ciò che è andato perduto? Per chi scrive, ad esempio, le opere della Grecia classica: un dolore non averle più. 
«Sì, basta ricordare che delle 90 tragedie di Euripide ne sono sopravvissute 18, e Medea non ha nemmeno vinto un premio nelle competizioni annuali, mentre lui era in vita. Sono sicura che il nostro mondo sarebbe un posto diverso se solo un altro pezzo di se stesso fosse sopravvissuto. Per non parlare delle opere di molte donne che non sono state tramandate! E delle testimonianze delle culture cancellate dai conquistatori. Forse oggi troveremmo le risposte alle nostre domande nei libri dei Maya, che gli spagnoli hanno bruciato. È disperante». 
Lei vive a Berlino, la città che ha cancellato porzioni degli ultimi pezzi di muro per costruire un hotel. La città che voleva un grattacielo in Alexander Platz. Come si vive in un luogo che divora il passato?
«A Berlino si può sperimentare in prima persona come il passato sia qualcosa che viene costantemente reinventato. È orribile. Dopo la caduta del Muro, avevano a disposizione tutte le opportunità, i vuoti, le terre desolate e le rovine che hanno reso questo posto così eccitante. Cosa ne hanno fatto? Luminosi centri commerciali, condomini di lusso interscambiabili e il nuovo castello prussiano». 
Parla spesso di sua figlia. A proposito di ricordi ed eredità, crede che una madre o un padre possano proteggere i figli dal commettere gli stessi errori, dal soffrire per le stesse debolezze?
«Oh mio Dio, questa è una grande domanda che penso ogni genitore si ponga. Ma anche se si dovessero rompere i propri schemi, si trasmetterebbe comunque la propria esperienza. Per esempio, per via della mia storia familiare era molto importante per me che nostra figlia - sono sposata con una donna - avesse un padre presente e non un fantasma. Fortunatamente, il mio migliore amico ha accettato. Quando vedo che rapporto intimo c’è tra loro, sono davvero felice».