Il Sole 24 Ore, 11 aprile 2020
Intervista a Guido Brera
«La crisi è e sarà durissima, ma non tutti i settori saranno colpiti nello stesso modo. E anche all’interno dei vari settori ci saranno vinti e vincitori. Quando in Borsa i prezzi delle azioni sono crollati in modo indiscriminato, noi abbiamo deciso di comprare». Guido Brera di mestiere fa il chief investment officer Asset Management di Kairos Partners Sgr ma è noto al grande pubblico anche perché, nel tempo libero, fa lo scrittore di romanzi. Sostiene che nella storia «le epidemie hanno determinato cambiamenti maggiori di quelli indotti dalle guerre». E che così come il Coronavirus si abbatte sui soggetti più deboli, anziani e malati, anche i suoi effetti sull’economia saranno simili: «I settori e le società che già erano in crisi lo saranno ancora di più, mentre quelle più forti si rafforzeranno».
Quali sono i settori, e le società, su cui avete consigliato di investire dopo il primo grande crollo delle quotazioni?
Il settore delle telecomunicazioni, quello delle reti di distribuzione di gas ed elettricità, il software e l’entertainment. Ma anche le assicurazioni. E alcune banche, scegliendo tra quelle più avanti con la trasformazione digitale.
Siamo arrivati alla nuova imprevista crisi con debiti pubblici elevati quasi ovunque nel mondo. Ora quei debiti sono destinati ad aumentare. Fino a che punto tutto ciò sarà sostenibile agli occhi degli investitori?
La macchina dell’economia si è fermata e il serbatoio è bucato. Gli Stati devono mettere benzina iniettando risorse a debito ma con tassi d’interesse quasi a zero grazie al massiccio intervento delle maggiori banche centrali. Non esistono alternative per far ripartire la macchina. I debiti pubblici ovviamente salgono ma, ai tassi attuali, gli investitori li giudicano sostenibili.
La grande volatilità delle asset class (azioni, petrolio) finora non ha determinato nuovi casi Lehman Brothers. Da shadow banking e grandi operatori sui derivati in Usa e in Europa possono arrivare timori per la stabilità dei mercati?
Il moral hazard di alcuni grandi intermediari non è stato archiviato dopo la crisi Lehman. Ma le iniezioni di maxi liquidità delle banche centrali dovrebbero aver tamponato nuove crisi di quel tipo. Piuttosto, prevedo difficoltà nel settore del private equity che, operando a leva, si trova con un sottostante che in alcuni casi ha perso buona parte del suo valore.
Il 2020 era iniziato con la presa d’atto da parte di colossi del risparmio come BlackRock che i temi collegati al climate change diventavano decisivi nelle scelte di investimento. Crede che la pandemia in corso accelererà la svolta globale verso gli investimenti sostenibili?
Sono convinto che vedremo un’accelerazione del flusso di capitali diretti a società che siano Esg compliant. L’attenzione al tema del climate change è un tema irreversibile. E destinata inevitabilmente a crescere se e quando dovesse essere dimostrata una correlazione diretta tra l’inquinamento da polveri sottili e tasso di mortalità della pandemia in atto. Se guardiamo alla storia millenaria, più che all’economia, le epidemie hanno determinato più cambiamenti delle guerre.
La crisi indotta dal Coronavirus segna anche la fine della prima fase della globalizzazione?
La catena di montaggio dell’economia globale ha dimostrato di non funzionare. Impossibile pensare che prosegua un modello di supply chain che consuma cielo, terra e mare. Credo che in futuro vedremo una globalizzazione meno scriteriata e con più regole, anche grazie alla spinta di chi gestisce e investe i risparmi. Servirà piuttosto una globalizzazione dei sistemi sanitari per non farsi trovare impreparati ad affrontare nuove future pandemie globali che purtroppo non possiamo escludere.