Il Sole 24 Ore, 11 aprile 2020
Tutti contro la Covid Tax del Pd
Non è stata esattamente un successo la proposta lanciata ieri mattina dal Pd di un «contributo di solidarietà» temporaneo a carico dei redditi sopra 80mila euro. La valanga di critiche è piovuta sia dalla maggioranza e dall’opposizione, e fuori dalla politica si sono fatte sentire le categorie professionali a partire dai commercialisti. «L’ossessione dello Stato dovrebbe essere quella di fornire liquidità in tempi rapidissimi – taglia corto il presidente del loro consiglio nazionale Massimo Miani -, e prima di pensare a contributi di solidarietà forse è il caso di adoperarsi perché le risorse stanziate arrivino davvero ai cittadini».
In effetti l’idea di nuove tasse fa a pugni con un’economia bloccata dall’emergenza sanitaria. Il problema non è tanto il drastico cambio di rotta rispetto a un cantiere dell’Irpef che fino a poche settimane fa prometteva tagli e semplificazioni fiscali per tutti. Il problema sono i numeri.
Quelli della platea, prima di tutto. Il contributo di solidarietà pensato dai Dem riguarderebbe 803.741 persone, per l’85% lavoratori dipendenti e pensionati. Sono l’1,9% dei contribuenti, dichiarano il 13,6% del reddito complessivo e pagano il 24,5% dell’Irpef, cioè 38,6 miliardi sui 157,5 prodotti dall’Irpef ogni anno. A conferma di un impianto già parecchio progressivo («troppo progressivo» secondo una parte della maggioranza quando si discuteva di riforma fiscale), e lo spazio per inasprire ancora la curva non è infinito.
Ma queste cifre, e qui arriva il secondo problema, sono fotografate dalle dichiarazioni del 2018, le ultime fin qui messe a disposizione dal dipartimento Finanze. È un panorama archeologico rispetto al quadro attuale: e non è semplice prevedere quante di queste 800mila persone potranno ancora contare su un reddito lordo da almeno 80mila euro all’anno nel 2020 e nel 2021, quando dovrebbe applicarsi il «contributo» targato Pd.
Ma anche con la platea piena, lo sforzo chiesto dal Pd ai redditi più alti sarebbe tutt’altro che decisivo: 1,3 miliardi di euro, in base ai calcoli Dem. Cioè, per fare una proporzione, cioè poco più del 2% degli almeno 60 miliardi che solo il prossimo decreto Aprile dovrebbe muovere per finanziare i nuovi interventi contro la crisi. Perché il blocco economico imposto dal contenimento sociale ha moltiplicato le cifre degli interventi indispensabili nella politica economica. Tra marzo e maggio il governo punta a muovere 100 miliardi in tre mosse: 1,3 miliardi, pochini in tempi ordinari in rapporto al costo politico del «contributo», scompaiono nell’emergenza.
La crisi, insomma, vuole molti soldi. E li vuole subito. E qui arriva il terzo problema. Perché i frutti del «contributo» arriverebbero pian piano, mese dopo mese, e una quota consistente delle risorse 2020 sarebbe da aspettare fino al 2021 (idem per il gettito dell’anno prossimo). Non solo: per mettere in piedi un calendario del genere bisognerebbe intervenire con un aumento fiscale in corso d’anno e non per il futuro. Cioè l’esatto contrario dei principi fissati dallo Statuto del Contribuente.