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 2020  aprile 11 Sabato calendario

La situazione degli ospedali in Africa

Il Covid-19 non risparmia la classe dirigente africana, globalizzata e viaggiatrice, che è solita farsi curare, senza badare a spese, nei più prestigiosi ospedali d’Europa, Asia, della Svizzera, Arabia Saudita e di Israele. Adesso, confinata nei propri Paesi per il blocco dei voli aerei, dopo la chiusura delle frontiere, e isolata per il lockdown imposto per contenere la diffusione del rischio di contagio da coronavirus, è chiamata a fare i conti con le politiche attuate nei confronti della sanità in un continente dove a questo settore viene destinato soltanto l’1% della spesa mondiale per la salute. E c’è il rischio che questa crisi sanitaria possa essere un fattore scatenante per rivolte sociali contro il potere autoritario di certi Paesi dell’Africa subsahariana.Gli ospedali pubblici dell’Africa dispongono, in media, soltanto 1,8 letti per mille persone. I capi di Stato, i ministri i loro consiglieri, le loro famiglie faticano a contenere la propria preoccupazione. Dal Mali allo Zimbabwe, dalla Repubblica democratica del Congo (RdC) alla Costa d’Avorio, i politici africani stanno cercando di gestire questa crisi sanitaria e di mascherare i propri fallimenti in materia di salute pubblica: sono caduti nella loro stessa trappola, per la prima volta. Governi e interi parlamenti sono confinati. Alcuni Stati si ritrovano paralizzati sul piano politico e tecnicamente rallentati. In Burkina Faso, ad esempio, almeno sei ministri, dei quali due guariti, e il capo di stato maggiore generale dell’esercito sono contagiati, secondo quanto ha riportato Le Monde.
Il Covid-19 ha preso la forma di un virus politico e urbano in Africa, rivelatore dei fallimenti del potere in carica. I politici sono i primi responsabili delle debolezze del sistema e delle strutture sanitarie e i primi a dover trovare delle soluzioni nell’emergenza, ha dichiarato a Le Monde, John Nkengasong, direttore del Centro africano di controllo e prevenzione delle malattie annesso all’Unione africana. Preoccupa il rischio di una propagazione rapida del virus in un continente dove la maggior parte della popolazione vive di lavoro informale e dove si rischia la carenza di cibo. Come giustificare alla popolazione la disponibilità di un solo respiratore artificiale negli ospedali pubblici di Conakry, la capitale della Guinea dove un primo caso di coronavirus è stato diagnosticato a metà marzo? Il sempre più contestato presidente Alpha Condé avrebbe fatto finta di potenziare le capacità sanitarie dopo l’epidemia dovuta al virus Ebola nell’Africa occidentale tra il 2014 e il 2016 che ha fatto 11.300 morti. Nella RdC ci sono solo 50 apparecchi per la ventilazione assistita per oltre 80 milioni di abitanti. Altri paesi non ne hanno neppure uno. E c’è chi vede in questa situazione le condizioni per l’emergere di movimenti urbani di protesta gestiti da chi non ha niente da perdere a sfidare i regimi finora indifferenti nei confronti della salute e della vita delle proprie popolazioni.