ItaliaOggi, 11 aprile 2020
Orsi & tori
Perché, non era previsto? La sagacia sintetica dell’uomo migliore di cui l’Italia dispone non lascia dubbi sull’inevitabile lentezza dei procedimenti per far sì che un’idea vitale, in questo caso quella di far arrivare liquidità alle imprese, avrà tempi fortemente inadeguati per diventare realtà. È l’onestà del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, a confermarlo a Il Sole-24Ore di giovedì 9: «I 400 miliardi di finanziamenti alle imprese verranno erogati entro l’anno». E dicendolo esprime soddisfazione, nel senso che i 400 miliardi di prestiti sono tutti erogabili entro l’anno. Ma pure a un uomo preparato e serio come il ministro dell’Economia sfugge un dettaglio: secondo la migliore analisi fatta sul Financial Times delle esigenze di tutte le aziende europee, la liquidità dovrebbe arrivare nelle casse delle aziende ad horas, non a mesi. Missione impossibile. Al di là della volontà di Gualtieri e del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Eppure, conoscono sicuramente la vecchia, fulminante descrizione della realtà delle imprese (e non solo imprese), fatta da Guido Carli: le aziende sono immobilizzate dai lacci e lacciuoli della burocrazia, fatta di leggi incomprensibili, che si sovrappongono, si sommano, si intrecciano. Da quella storica definizione sono trascorsi quasi 40 anni e chi ha governato e governa non ha imparato minimamente la lezione. Eppure, c’è stata la grave crisi del 2008 e ora la guerra, per fortuna senza missili e bombe, ma pur sempre guerra anche se verso un nemico invisibile. Non si è ancora compreso che nella grande sciagura in corso c’erano, o meglio ci sono (speriamolo), le condizioni per lo sfoltimento della foresta legislativa e giudiziaria, con provvedimenti straordinari verso i quali nessuno potrebbe obiettare, anzi tutti potrebbero applaudire.
Lo stato generale della maggioranza delle aziende italiane, la cui spina dorsale sono le pmi, era assolutamente precaria già prima del virus. Varando provvedimenti di dimensione anche adeguata, ma inadeguati nei tempi e nei modi, non si fa altro che peggiorare le condizioni del sistema economico, specialmente in relazione alla concorrenza delle aziende di altri Paesi. In molti Stati europei, dove la crescita c’è stata anche se limitata, mentre in Italia non si cresce da ormai 12 anni, l’intervento della mano pubblica è stato fulminante e di caratteristiche ben diverse al puro finanziamento che non fa altro che aumentare l’indebitamento. Nessuno può negare che per tentare di sopravvivere quei 400 miliardi di prestiti qualcosa sono, ma arriveranno tardi e dovranno essere restituiti in un tempo limitato.
È vero, l’Italia non è la Svizzera, il debito pubblico è il più alto d’Europa, ma non solo in Svizzera lo Stato paga (non fa in modo che venga prestato) il mancato fatturato di tre e anche sei mesi. Fa qualcosa di simile la Francia per non parlare della Germania, dall’alto della sua forza. Tali casi, questo giornale, li ha segnalati da giorni; è stato anche pubblicato il questionario da compilare in 7 minuti usato negli Usa per il Paycheck protection program: se l’occupazione viene mantenuta, quello non è un prestito ma un finanziamento a fondo perduto; con il modulo compilato si va in banca e si ricevono i soldi, perché i soldi li ha messi lo Stato non li mettono le banche. In Svizzera, questo giornale lo ha segnalato ugualmente per primo, i primi 500 mila euro sono ottenibili in tre ore, compilando il modulo per via telematica. E la casistica potrebbe continuare.
In queste parole non vuole esserci nessuna polemica verso il governo. Il governo segue il cammino che caratterizza l’Italia da decenni. Il grave è che non abbia colto l’emergenza della guerra per cambiare linea. Non questo giornale, ma il confratello Sole-24Ore ha notato qualche giorno fa che tra leggi, note, ordinanze di Stato, regioni e comuni si sono superate le mille pagine, dicasi mille.
Il decreto per i finanziamenti alle imprese è stato firmato alla velocità della luce dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: la bollinatura della Ragioneria è stata fatta nel tardo pomeriggio di mercoledì 8 e la firma del Quirinale è arrivata nella serata. Quindi almeno i tempi burocratici del percorso da palazzo Chigi al Quirinale sono stati ridotti al minimo, ma è l’impianto del decreto (che contiene molti altri provvedimenti oltre i finanziamenti) che non soddisfa le esigenze, per gli aspetti già sottolineati: si tratta di prestiti e da restituire in tempi troppo brevi; di fatto, dalle dichiarazioni sulla dimensione del bazooka (termine orrendo ma ormai acquisito) sembrerebbe che lo Stato faccia un grande sacrificio, mentre in realtà paga soltanto l’assicurazione dei finanziamenti, circa 12 miliardi per i sei anni attraverso Sace; l’assicurazione non supera per i prestiti più consistenti il 90% e scende anche al 70%, innescando inevitabilmente l’esame da parte delle banche del merito del credito; come dice il presidente dell’Abi, l’attivissimo Antonio Patuelli, moltissime aziende in questi mesi di mancato fatturato hanno già sconfinato e debordato dalle linee di credito, quindi per le regole bancarie imposte dal Meccanismo unificato di vigilanza di Francoforte, sarebbero già escluse dal poter avere nuovi finanziamenti dalle banche.
Ma non è tutto. La fascia più numerosa di società, pmi, sarà costituita da quelle che hanno un fatturato non superiore a 3,2 milioni di euro; queste potranno ricevere fino a 800 mila euro di finanziamenti e con una garanzia del 90%, elevabile al 100% con il concorso di Confidi. Queste società dovranno rivolgersi in primo luogo al fondo di garanzia delle pmi gestito dal Mediocredito centrale. Piccola, grandissima complicazione: ogni operazione dovrà essere autorizzata dalla Commissione europea.
In carenza di una semplificazione come avviene in tutti i Paesi efficienti, è intervenuta con tempestività fulminante la circolare dell’Abi, che spiega in italiano il decreto. La circolare evidenzia una situazione per certi aspetti paradossale: la garanzia è concessa anche alle aziende che dopo il 31 dicembre 2019 sono state ammesse alla procedura di concordato con continuità aziendale; mentre restano escluse dalla possibilità di avere la garanzia e quindi il finanziamento le imprese che presentano esposizioni classificate come «sofferenze» ai sensi della disciplina bancaria. Il paradosso è evidente: sono ritenute più meritevoli le società che hanno dovuto chiedere il concordato che quelle che, magari, hanno anche una sola sofferenza segnalata nella Centrale rischi della Banca d’Italia. Ci sarà quindi un gran lavoro per MF-Centrale Risk, la società che può svolgere tutte le pratiche per far ottenere alle società in maniera intellegibile la propria posizione in Centrale rischi. Ma certo il disagio di molte aziende crescerà.
«Il 90% delle società edili è di fatto in mano alle banche, perché il nostro settore è l’unico che dalla crisi del 2008 non ha recuperato il terreno perso», dice Gabriele Buia, presidente dell’Ance, l’associazione di categoria. «Eppure, è a tutti noto che l’edilizia mette in moto l’87% delle varie filiere produttive. Se molte imprese edilizie saranno costrette a chiudere, a soffrirne sarà tutta l’economia Italia, per la quale Goldman Sachs ha già previsto per l’anno in corso una caduta del pil dell’11%».
Ecco, se c’è un settore che soffre più di tutti gli altri della burocrazia, di leggi equivoche, di regolamenti comunali talvolta assurdi, di una giustizia amministrativa assai più aleatoria e contaminata di quella civile e di quella penale, è proprio il settore dell’edilizia. Ad aggravare il tutto c’è il fermo assoluto delle opere infrastrutturali e non solo per un codice appalti che dovendo creare protezione verso le mafie che hanno spopolato nel passato, rende di fatto impossibile chiudere una gara, ma anche per le scelte politiche di chi è tuttora l’azionista di maggioranza del governo.
Proprio l’attività di costruzione non solo privata e pubblica ma soprattutto delle grandi opere potrebbe (anzi dovrebbe) essere uno dei volàni principali per rimettere in moto il Paese. Se effettivamente larga parte delle imprese edili ha forti problemi con le banche, è evidente che in base al decreto queste imprese saranno tagliate fuori dai finanziamenti e così verrà a mancare uno dei pilastri fondamentali per la rinascita.
Forse è il caso che il governo rifletta su questa situazione e vari quantomeno delle leggi semplici che favoriscano l’attività edilizia, oltre a non perdere un minuto, anche a costo di una nuova crisi di governo, per dare avvio alle numerose infrastrutture già finanziate.
Nel momento nel quale il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si spinge a dire che ci sarà presto la riapertura, che invece secondo i modelli matematici sui contagi non potrà essere così tanto sollecita, sarebbe bene che venisse usato il tempo mancante per un piano serio e articolato di iniziative capaci di rilanciare l’economia. Quindi, non solo edilizia e grandi lavori, ma idee e programmi per molti altri settori. In primo luogo, il turismo. Moltissime aziende, specialmente le pmi del turismo, sono già morte. Ma per quelle che costituiscono l’ossatura del sistema di accoglienza di turisti da tutto il mondo, urge un intervento speciale di messa in sicurezza.
Il 2020 doveva essere l’anno del turismo e della cultura Italia-Cina. Ormai l’anno è compromesso. Sarebbe bene che con un provvedimento straordinario concordato fra i due Paesi, l’anno del turismo sino-italiano venisse prolungato almeno fino alla metà del 2021. È quasi sicuro che il governo cinese sarà d’accordo, allo stesso modo in cui sono state spostate le Olimpiadi dal Giappone.
E un piano speciale va varato per Milano e la Lombardia. Prima del virus, Milano ribolliva di grandi progetti edilizi. I grandi fondi internazionali avevano messo in cima alla lista di tutte le città del mondo la capitale economica italiana. Hines, Covivio e via dicendo avevano già avviato progetti straordinari capaci di rendere ancora più viva e più moderna Milano. Non è sicuro che siano ancora disposti a portarli avanti. È in atto, infatti, una raffica di richieste di disdetta di contratti di affitto per ottenere come minimo il dimezzamento degli importi. Vi è una stretta commissione fra livello degli affitti e valore degli immobili costruiti e da costruire. C’è da augurarsi che il sindaco Giuseppe Sala, come in effetti risulta stia avvenendo, abbia pronti validi progetti di rilancio. Anche perché Milano, per quanto è accaduto, arriverà dopo altre zone a essere riaperta.
Sala è un manager prima che un politico e almeno nell’ambito dei poteri del Comune potrebbe avviare quel progetto di semplificazione e di sburocratizzazione di tutto il sistema normativo cittadino, cogliendo al volo un’occasione come l’attuale stato di guerra che ci auguriamo sia irripetibile.
Lo stessa sagacia di chi ha detto, di fronte al ritardo e alla complessità dei meccanismi varati dal governo, «Perché, non era previsto?», potrebbe anche concludere: «È molto difficile cambiare la testa agli avvocati». Ma almeno i manager al potere che non si arrendano al burocratese, alla burocrazia, alle leggi attorcigliate e attorciglianti. Certo, c’è sempre il pericolo del Pm di turno che poi apre l’indagine penale. Ma in questa guerra o nel dopoguerra bisogna pur rischiare. E il consenso dell’opinione pubblica non mancherà.