Corriere della Sera, 10 aprile 2020
L’isolamento di Serena Dandini
«Ho dovuto tagliarmi i capelli da sola e vado in giro con una mascherina che sembra un reperto storico dell’Ottocento: l’ha recuperato, non so come, mia nipote che fa la restauratrice. Un regalo prezioso, ma sono irriconoscibile. Eppure quando, dopo aver fatto la consueta fila, sono finalmente davanti al fruttivendolo e chiedo mezzo chilo di broccoletti, la voce mi tradisce e mi dicono: ah! ma tu sei la Dandini». Come tutti Serena Dandini, agli arresti domiciliari, nella sua casa romana, fa i conti con l’emergenza epidemica.
Come affronta la quotidianità da casalinga?
«Mi ritengo una privilegiata, perché condivido la clausura con il mio compagno, mentre ci sono tante persone che vivono da sole e la costrizione nella solitudine può diventare un inferno. Poi Lele (Marchitelli ndr) è musicista, ma anche un maestro in cucina. Io mi limito a fare la spesa e la bassa manovalanza, lavo i piatti, metto in ordine... Inoltre, questa situazione di casalinghitudine mi aiuta a pensare, riflettere, scrivere e la scrittura ha un effetto terapeutico, ti fa entrare in altri mondi, ti fa dimenticare per un po’ la realtà... Ma essendo una schizofrenica, da un lato amo molto la mia parte solitaria, dall’altro mi manca la televisione, il teatro... l’abbraccio del pubblico».
Cosa le ispira il Covid-19? A Gigi Proietti, in una recente intervista al «Corriere», il coronavirus sembra una specie di Zorro, perché è molto mascherato.
«Bè, a vederlo con tutti quei pallini rossi, mi vengono in mente quei personaggi cattivi dei cartoni animati: e lui è proprio cattivo... Comunque, al di là delle battute, stiamo vivendo un’esperienza globale traumatica, siamo tutti uguali perché tutti minacciati dallo stesso virus. Basta con le polemiche, il cicaleccio è fastidioso non solo a livello nazionale, anche a livello europeo: l’immagine di un’Europa divisa è scoraggiante e se il sogno di vederla unita fallisce ora, fallisce per sempre».
E pensare che il suo ultimo programma in tv si intitolava proprio Stati generali.
«Curioso davvero! Un titolo quasi profetico, dato che l’ultima puntata è andata in onda il 15 gennaio, poco prima che scoppiasse il disastro».
Cosa la preoccupa maggiormente?
«La violenza domestica sulle donne, che è aumentata perché non possono andare a denunciare i soprusi dei loro mariti o compagni e la fragilità aumenta a dismisura».
Non a caso lei ha debuttato, nel 2012, in palcoscenico con Ferite a morte.
«Tengo molto a dare questo messaggio: per denunciare esiste il numero 1522 che è sempre attivo e se non si può parlare, si può inviare un sms: c’è sempre qualcuno che ascolta, risponde e può aiutare. Ma dobbiamo ricordarci di queste donne anche quando finirà l’emergenza. Così come, dopo, dovremmo ricordarci dell’importanza fondamentale del servizio sanitario, di dare fondi alla ricerca. Non possiamo ricordarcene solo adesso che ne abbiamo bisogno, occorre pungolare i politici affinché svolgano il loro dovere, richiamarli al senso del bene comune».
Quali programmi televisivi consiglierebbe adesso?
«Il recupero di tanti film che hai sempre sognato di rivedere, ma non avevi tempo per farlo. Sconsiglierei di guardare continuamente i “bollettini di guerra”, ma apprezzo molto tutta l’informazione, che è condotta benissimo da tante giornaliste, da Lilli Gruber a Serena Bortone, solo per citarne alcune. Ammiro soprattutto gli inviati nelle pericolose zone rosse, molti dei quali giovanissimi: dimostrano grande coraggio e professionalità».
Lei è stata direttore di teatri: è d’accordo con gli spettacoli in streaming?
«Il teatro è spettacolo dal vivo, quindi va vissuto nelle sale con gli attori in palcoscenico, e nessuno smart working può sostituirlo. Mantenerlo vivo sui social è una consolazione dell’anima: la vitalità culturale online è un segno positivo, mantiene allenata la mente per le cose belle, ne abbiamo bisogno. Poi occorrerà tornare a respirare la polvere del palcoscenico. Sono ottimista».
A proposito di ottimismo, nei suoi programmi domina sempre la satira. È possibile fare ironia di questi tempi?
«L’ironia è un toccasana, una medicina che fa bene allo spirito. Sul web impazzano video o battute ironiche che aiutano a ritrovare il buon umore, ad accendere un sorriso: perché no? Che male c’è?».
Quali sono tre cose che avrebbe voluto fare e che non potrà fare per i prossimi mesi?
«Stringere al petto il mio nipotino Elia, è la cosa che mi manca di più. Tornare nel mio amato Salento, per fare un bagno in quel mare meraviglioso. Riabbracciare fisicamente, e non virtualmente, amiche e amici: le chat sono un surrogato, mi intristiscono, e le telefonate che ci facciamo in questo periodo, dove la prima domanda è “come stai?”, non sono molto esaltanti. Tuttavia, dalle grandi crisi possono nascere nuovi mondi, dove possono attecchire delle buone idee. Quale occasione migliore di questa? Ne usciremo più forti».