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 2020  aprile 10 Venerdì calendario

Abiti fatti di pixel

Essere o non essere: è il dilemma dell’abito, che ai tempi del lockdown si spoglia della stoffa e sfodera i pixel, diventando a tutti gli effetti una creazione digitale. Mai fashionisti e nerd sembrano andare così d’accordo. Frutto di programmi di grafica e animazione 3D, l’abito-non-abito, messo in vendita da aziende specializzate nella couture digitale, si può indossare in pochi step. Si sceglie un modello tra quelli disponibili nel catalogo online, si carica una nostra fotografia e si procede all’ordine. Grazie al design 3D avverrà il fitting virtuale e l’outfit sarà adattato alla silhouette, ricevendo alla fine la nostra foto vestita di tutto punto, pronta per essere condivisa sui social. Un passatempo per fashion victim annoiate in quarantena, che suggerisce però una rivoluzione di stile nel frenetico mondo di Instagram e non solo.
LA TECNOLOGIA
«È sorprendente come il mondo intero sia confluito improvvisamente nello spazio della moda virtuale su cui abbiamo scommesso già da diversi anni», si legge in una nota firmata The Fabricant, casa di moda digitale di Amsterdam nata nel 2018 che ha il primato di aver venduto all’asta la scorsa primavera, il primo abito digitale a novemila euro. «Tutto accade all’interno dello schermo del computer: i colori, le stampe sono a portata di clic in un campo di prova iper-reale», spiega online Amber Jae Slooten, direttore creativo dell’azienda olandese. Si inizia avvolgendo il tessuto digitale attorno a un corpo sullo schermo, utilizzando poi le tecnologie del settore cinematografico e degli effetti visivi, rendering 3D, scansione del corpo e motion capture. Non si inquina e la produzione può attendere la domanda.

LA PROSPETTIVA
«Alla base di un abito che non esiste si compra un’idea in un’ottica anche di sostenibilità: prima si comunica, poi si vende e infine si produce», dice Alessandro Bertini, direttore dell’Istituto Modartech di Pontedera che attraverso i corsi di Moda, Design, Grafica e Comunicazione da sempre collabora con l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. «Assistiamo alla riorganizzazione di processi aziendali con una transizione da una produzione di massa a una personalizzazione di massa», continua. Una manna per influencer a caccia dell’outfit perfetto e un’attrattiva per i giovani nativi digitali: «Indossando abiti che realmente non si possiedono, ma che ci permettono di apparire come vorremmo, si dà la possibilità di esprimere l’autentica personalità», continua Bertini.
Se è vero che l’universo internet è di gran lunga il posto dove si ha più esposizione in termini di immagine, la norvegese Carlings ha ben pensato di creare una collezione di moda digitale democratica con prezzi dai 10 ai 30 euro: diciannove capi dal design futuristico e altamente instagrammabile, tra puffer jacket, felpe e jeans. Meno abiti fisici vuol dire meno energia per produrli, meno rifiuti una volta dismessi e prezzi accessibili. Come se non bastasse, alla passerella virtuale di Instagram, si aggiunge quella di videogiochi simulatori di vita e moda reale, come The Sims, dove far sfoggiare ai propri alter ego abiti griffati a suon di pixel. Guardare come i-D Sims, ventiquattrenne brasiliano appassionato di design 3D e di videogiochi, riediti per The Sims4 una versione più che perfetta dell’outfit Thierry Mugler indossato sulla passerella da Bella Hadid in persona.

IL FIORE ALL’OCCHIELLO
«La sfida più difficile è trasmettere la qualità di un tessuto che non si può toccare, essendo virtuale», raccontava lo scorso anno Jeremy Scott lanciando per il videogioco, la capsule Moschino x The Sims. «La moda rappresenta il fiore all’occhiello dell’economia italiana ed è da tutelare», raccomanda Bertini. La realtà virtuale può rappresentare un’opportunità da cogliere in un settore da sempre all’avanguardia: «L’integrazione tra online e vita reale sarà sempre più forte dando vita all’onlife – conclude – sta al buon senso del genere umano non annegare in un eccesso di tecnologia».