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 2020  aprile 09 Giovedì calendario

Perché il Medio Oriente è meno colpito dal coronavirus

Mentre in Europa le vittime sono quasi 60 mila e negli Stati Uniti 15 mila, il Medio Oriente conta soltanto circa 5 mila morti, concentrati quasi tutti in Iran. Se si esclude la Repubblica islamica, dove la gestione della crisi è stata disastrosa e le vittime ufficiali sono salite a 3993 con 64 mila casi, nella regione ci sono stati poco più 50 mila casi e 1200 morti. L’altro Paese più coinvolto è la Turchia, con 32 mila contagiati e 812 vittime. Ma spicca il fatto che i Paesi arabi sono fra i meno colpiti al mondo. Ci sono tre ordini di ragioni per questo fenomeno, oltre ad un clima più caldo che potrebbe essere un ostacolo alla rapida diffusione del virus, un’ipotesi che però dovrà essere verificata con l’arrivo della bella stagione.
Paesi del Golfo e Israele
Il primo riguarda una categoria di Paesi ricchi, quelli del Golfo, che hanno messo in campo apparati di controllo e test di massa. Per esempio gli Emirati hanno fatto 200 mila test, a Dubai e Abu Dhabi ci sono anche controlli “drive through”, al volante. Nel Paese sono stati registrati finora 2659 contagiati, con sole 12 vittime e un tasso di mortalità dello 0,5 per cento, molto più basso anche di quello in Germania o della Corea del Sud, dove è attorno al 2 per cento. Cifre simili presenta l’Arabia Saudita, con 2942 casi e 41 vittime. Ancora meglio ha fatto il Qatar, con 2210 contagiati e sole sei vittime. In questa categoria si può includere anche Israele, che ha numero di casi più elevato, 9404, ma poche vittime, 73. Anche lo Stato ebraico ha utilizzato applicazioni sui cellulari per controllare gli spostamenti contagiati e possibili asintomatici e ha applicato con gradualità un lock-down sempre più rigido, fino alla chiusura totale in occasione delle festività della Pasqua cristiana ed ebraica, cominciata ieri sera.

Quando l’autoritarismo ha i suoi vantaggi
La seconda categoria include Paesi come l’Algeria, la Giordania, l’Egitto, a reddito medio o basso e governati da regimi autoritari, con un apparato di sicurezza centralizzato ed efficiente. Il controllo del territorio e la capacità di imporre coprifuoco molto rigidi ha giocato a favore di questi Stati. La Giordania, per esempio, ha imposto un confinamento totale alla popolazione, fino ad arrivare a chiudere persino i negozi di alimentari, con l’esercito che consegnava i pasti a casa alle famiglie. Una misura poi revocata per l’incubo logistico che comportava. La chiusura delle frontiere, i posti di blocco agli ingressi delle città, hanno comunque funzionato. Nel Paese si sono registrati finora 358 casi e sei morti. L’Egitto ha adottato una linea simile, anche se più morbida all’inizio e con maggiore ritardo, soprattutto per la preoccupazione di affossare il settore turistico, cosa che poi si è rivelata inevitabile. In totale ha avuto 1560 casi e 106 morti.

Le peculiarità del Libano
Il Paese dei Cedri è governato da un sistema democratico, per quanto su basi settarie e con grossi limiti soprattutto nei diritti civili e di famiglia. La “partitocrazia settaria” ha condotto lo Stato verso la bancarotta finanziaria ma la gestione dell’epidemia è stata finora efficiente, anche per la partecipazione attiva di una popolazione con un livello di istruzione sopra la media della regione. In Libano ristoranti e bar hanno chiuso ancora prima dell’ordine del governo, perché il disastro in Iran e il numero elevato di vittime in Europa avevano allertato i cittadini. La chiusura di tutte le attività non essenziali è stata decisa quando si registravano ancora meno di cento casi e cinque vittime. La curva è stata appiattita quasi subito e adesso i contagiati sono saliti a 576, con 19 vittime. L’economia però, già devastata dal default su una prima tranche del debito pubblico, è in ginocchio. Beirut ha chiesto aiuto alle istituzione finanziarie internazionali.

I Paesi in guerra, isolati ma non al sicuro
La terza categoria include invece i Paesi in guerra: Siria, Libia, Yemen. Quest’ultimo è unico Paese della regione senza alcun caso registrato ma anche il più esposto. Con gran parte degli ospedali danneggiati dal conflitto, metà della popolazione debilitata dalla malnutrizione e da altre infezioni, rischia un’ecatombe se il Covid-19 dovesse colpirlo. L’isolamento dovuto ai conflitti ha isolato anche Libia e Siria dal resto del mondo, mentre la mancanza dei strumenti per effettuare i test rende poco tracciabili i pochi casi reali. A Damasco si registrano 19 contagiati con due vittime, mentre in Libia sono 21, con una vittima, tutti in Tripolitania tranne uno a Bengasi. I dati si riferiscono alla giornata di ieri, 8 aprile.