Il Messaggero, 9 aprile 2020
L’Ultima cena diventa un mini-film
Un miracolo nel miracolo. Tre fra i nomi più grandi del cinema italiano – Vittorio Storaro, Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo riuniti nello stesso progetto per dare vita, nel mondo più realistico possibile, a uno dei capolavori della pittura mondiale: L’ultima cena di Leonardo da Vinci. Nove minuti di cortometraggio, un unico piano sequenza girato al rallentatore, che avrebbero dovuto inaugurare la tournée mondiale ieri, con una proiezione sulla facciata della Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo, seguita dalla proiezione di Pasqua a Trinità dei Monti e da quella di pasquetta a Piazza Navona. Rimandati a causa del coronavirus nella speranza, dice la produttrice italiana Deborah Diego, che nel frattempo si riesca a organizzare anche una proiezione in Piazza San Pietro i nove minuti saranno mostrati come regalo di Pasqua da parte del regista Armondo Linus Acosta in tv: in anteprima oggi alle 17.30 su TV2000, prima del rosario delle 18, e sabato su Tg2 Storie con uno speciale dietro le quinte.
IL SOGNO
«Nessuno ha mai tentato un’impresa simile», racconta Acosta, grintoso ottantaduenne cresciuto a Hollywood (curò la fotografia, tra gli altri, per Hitchcock, Minnelli, Welles) ma innamorato da sempre dell’Italia e di Roma. Inseguito per anni, il sogno di realizzare una versione vivente del dipinto – che Leonardo consegnò a fine Quattrocento – è arrivato per lui come una «rivelazione. Nessuno aveva mai portato sullo schermo L’ultima cena. E ho capito che non avrei avuto altra scelta che riprodurre su pellicola ciò che vedevo su tela». Tutto, nel cortometraggio, doveva perciò essere identico al dipinto di Leonardo: «Le luci, la geometria, le proporzioni, i costumi. Volevo che ogni singola ruga, piega delle vesti, ciuffo di capelli fosse riportato così com’era. E per farlo avevo bisogno dei nomi migliori».
L’incontro con il tre volte premio Oscar Vittorio Storaro, come racconta Acosta, fu «un primo miracolo. Non lo sapevo, ma Vittorio aveva da sempre un sogno: ricreare in un film la luce irreale dei dipinti di Leonardo Da Vinci. Ferretti l’avevo incontrato a Cinecittà: è un grande maestro. Senza modestia posso dire che Leonardo sarebbe orgoglioso del risultato».
Dopo un lavoro di preparazione sul dipinto durato un anno e mezzo, e la ricostruzione in 3d de L’ultima cena negli studios belgi di Gand, «il secondo miracolo è arrivato mentre cercavamo il cast». E tutto è cominciato proprio dall’attore incaricato di ricoprire il ruolo di Gesù. «Avevamo già scelto un attore americano. Poi un giorno, mentre mi trovavo al lago di Bracciano, vidi un ragazzo che con una gru cercava di ripescare una barca. Si chiamava Fabio, e appena lo vidi riconobbi nel suo il volto di Gesù. Gli ho chiesto di partecipare e ha accettato». Da allora, come per un effetto domino, «mi sono reso conto che tutti gli apostoli avevano i volti dei tecnici e delle persone coinvolte a vario titolo nel film. Me compreso: nel corto presto il volto a Taddeo, l’undicesimo apostolo in fondo a destra nel quadro».
IL CAST
Mostrato per la prima volta sulla facciata del Palazzo Reale di Milano nell’ambito delle ricorrenze per i 500 anni dalla morte di Leonardo, e poi due volte in Belgio, L’ultima cena sarà incorporato, nelle intenzioni del regista, in un film più lungo ma con lo stesso titolo, L’ultima cena, da girare in Italia a fine emergenza coronavirus. Storaro e Ferretti avrebbero già accettato di continuare a collaborare, mentre per il cast i due produttori, l’italiana Diego e l’americano Alexander Berne, penserebbero a «eccellenze solo italiane. Il sogno sarebbe avere Sophia Loren come Maria Maddalena». Le riprese, appena possibile, ripartiranno proprio da Roma: «Roma è la mia seconda casa, e appena si potrà torneremo al lavoro dice il regista – finirò il film. E lo porterò alla Mostra del Cinema di Venezia».
Per Acosta, che descrive il suo corto come un tableau vivant, un «dipinto digitale del ventunesimo secolo», il senso dell’operazione de L’ultima cena diventa ancora più potente durante l’emergenza sanitaria globale. «Il messaggio di questo dipinto riguarda la forza della collettività spiega perché ci invita a mettere insieme le forze in una sorta di preghiera universale. Non importa chi preghiamo. Importa farlo insieme. Penso al messaggio potentissimo che è arrivato nei giorni scorsi dall’immagine del Papa che prega nella piazza vuota. Significa che oggi non conta stare sotto allo stesso tetto per pregare. Serve uno sforzo comune, collettivo, per rimettere in moto un mondo che, come una bella macchina lasciata in garage, ha bisogno di un bel giro di chiave per ripartire».