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 2020  aprile 08 Mercoledì calendario

Cos’è la Pasqua ebraica

Ogni primavera, gli ebrei celebrano con una cena il ricordo di una terribile emergenza. Quest’anno è la sera dell’8 aprile. Raccontano l’Esodo, la fuga dall’Egitto. È una storia di terribili pestilenze, di ribellione all’arroganza del potere, di schiavi in fuga, di emigranti costretti a far fagotto in fretta e furia – tanto da non avere il tempo di lasciar lievitare il pane prima di cuocerlo. La raccontano seguendo un canovaccio, un Seder, un ordine prestabilito uguale da secoli. Ma nei commenti dei commensali ogni volta c’è anche qualcosa di nuovo, di diverso, un accenno all’attualità.
Non lo fanno in sinagoga ma in casa, in privato. Senza escludere nessuno: «Questo è il pane della povertà, che i nostri antenati mangiarono in terra d’Egitto. Vengano tutti gli affamati e mangino: venga alla nostra festa chiunque sia in bisogno…». Quest’anno però si fa stando ciascuno a casa propria, gli ospiti dovranno unirsi via internet, con Skype o con Zoom.
Ho il cognome di un grande studioso delle Leggende del popolo ebraico, ma la mia non era una famiglia religiosa. Della mia infanzia a Istanbul ricordo cene a casa di parenti per Pesach (il passaggio, l’Esodo, così si chiama la Pasqua ebraica), o Purim o Rohshashanah, altre allegre occasioni conviviali. Ma una sola visita al tempio, credo per Kippur o forse per un “ meldado “, lettura per i defunti: mi annoiai perché non capivo le parole. Al mio primo seder da adulto fui invitato – vi sembrerà strano – quando facevo il corrispondente a Pechino. Poi vennero gli inviti ai seder a New York. Era l’anno della prima guerra del Golfo, si temevano missili a testata chimica o batteriologica. Al punto dove il testo della Haggadah (del racconto di pasqua) dice: «Quel che è stato per i nostri padri, sarà anche per noi. Poiché non c’è stato solo uno a volerci sterminare, ma in ogni generazione c’è chi ci vuole sterminare…», i presenti sussurrarono: «Faraone, e poi Hitler, ora Saddam Hussein».
La peste aveva scatenato in tutta Europa massacri di ebrei. Accompagnati da un’epidemia di fake news. Li accusavano di avvelenare i pozzi, diffondere il morbo. Gira da secoli l’invenzione atroce per cui a Pasqua gli ebrei dissanguerebbero bambini cristiani per impastare le loro azzime. Lo Stürmer, il giornale nazista, vi aveva dedicato un numero speciale in milioni di copie. Servì a incitare all’Olocausto. È solo da poco che è stata tolta l’aureola a San Simonino, pretesa vittima del Seder del 1475 a Trento. La Diocesi ha dedicato al caso una mostra sull’ Invenzione del colpevole.
Di anno in anno cambiano gli accenti. A lungo, confesso, mi aveva affascinato l’interpretazione dell’Esodo come ribellione, liberazione degli oppressi, dei lavoratori maltrattati, addirittura Rivoluzione, come suona nel titolo di un fortunato saggio di Michael Walzer. Poi c’era stato il momento in cui mi sono perso dietro le Sirene e i dubbi del Mosè e il monoteismo di Sigmund Freud. Pochi testi si prestano come questo all’interpretazione, alla disquisizione, alle discussioni. Tra tanti stereotipi sugli ebrei ce n’è almeno uno che mi pare abbastanza azzeccato: siamo specialisti nello spaccare il capello in quattro.
Nell’antico racconto non mancano certo richiami, suggestioni, evocazioni, associazioni d’idee, moniti per l’anno del Covid-19. Tremenda ad esempio l’insistenza sulle piaghe con cui Dio colpisce l’Egitto perché il Faraone si ostina a non permettere che se ne vadano liberi i suoi redditizi schiavi. Il testo martella impietoso, più volte sull’elenco delle piaghe e su ciascuna di esse: Sangue, Rane, Bestie selvatiche, Peste degli animali, Ulcere, Grandine, Cavallette, Oscurità, e infine la più tremenda di tutte: la Morte dei primogeniti. Una sfilza di catastrofi ambientali ed epidemie. C’è chi si è sbizzarrito, talvolta arrampicato sugli specchi, per cercare di ricollegare ciascuna delle piaghe ad una malattia riconoscibile dalla medicina moderna. Tra i più recenti l’articolo pubblicato sulla rivista medica Caduceus dall’epidemiologo americano John Marr. L’ipotesi è una concatenazione di eventi che si avvitano: un’invasione di alghe che colorano di rosso le acque e le saturano di tossine, la conseguente moria di pesci e rane, la conseguente anomala proliferazione di insetti portatori di batteri e virus, il contagio che colpisce il bestiame, poi si estende agli uomini, le tempeste di sabbia e grandine che costringono ad accumulare nei granai le messi ancora zuppe, e, infine, le micidiali tossine e funghi che il frettoloso immagazzinamento sviluppa. È questa l’origine della moria dei privilegiati, dei “primogeniti”, figlio del Faraone compreso, mentre vengono risparmiati i poveracci, cioè gli schiavi ebrei? Diversi altri studiosi hanno tirato in ballo la rottura degli equilibri ecologici, i mutamenti climatici, il non casuale affastellarsi di catastrofi naturali e catastrofi pandemiche.
Scettici su simili tentativi di spiegazione “scientifica”? Non avete tutti i torti. Ma non abbiamo sentito, da parte di molti scienziati coi fiocchi dire di tutto e il contrario di tutto sul coronavirus? Abbiamo risposte più plausibili sul perché qualcuno (individui, zone, Paesi interi) viene colpito di più e altri sembrano cavarsela? Ancora più suggestiva è una lettura della storia delle piaghe come monito sull’inadeguatezza dei governanti e l’arroganza dei Paesi che si ritengono invulnerabili. Il Faraone è accecato perché lui «domina il Nilo», l’Egitto è prospero e forte, è la Superpotenza assoluta, ha eserciti e scorte. Eppure finisce in ginocchio, come gli altri.
La Pasqua ebraica è una ricorrenza soprattutto per i bambini. Il senso è trasmettere il ricordo di generazione in generazione. Non per niente la cerimonia inizia con una serie di domande la cui lettura è affidata al più giovane della compagnia. Infantili sono anche molte delle canzoni che accompagnano la celebrazione, come la filastrocca del capretto – resa famosa da Angelo Branduardi come Alla Fiera dell’Est — una magnifica allegoria della circolarità e interdipendenza delle vicende del mondo. È una favola per bambini. Ma anche per grandi.