La Stampa, 8 aprile 2020
Zerocalcare e la clausura. Intervista
All’inizio Rebibbia Quarantine di Zerocalcare doveva essere solo un video: «Volevo raccontare quello che stava succedendo nel mio quartiere. Quando però mi hanno telefonato da La7 per Propaganda Live per chiedermi di usare un mio vecchio video, ho proposto di mandare in onda questo. Ma forse, ecco, chiamarla serie è un po’ esagerato». Nel giro di poche settimane, le quattro mini-puntate firmate dal fumettista hanno raccolto quasi 7 milioni di visualizzazioni su Facebook. «Sono partito dai disegni, e solo in un secondo momento mi sono reso conto che la cosa migliore era un cartone animato».
Perché?
«Prima di tutto per linguaggio: volevo poter mettere delle musiche e degli effetti per creare una certa atmosfera. E poi perché mi sembrava il modo perfetto per raggiungere un pubblico più ampio».
Le persone non leggono?
«Anche se siamo in quarantena, e in teoria abbiamo tutti più tempo, ho la sensazione che i video funzionino meglio delle cose scritte. Volevo anche capire cosa sono in grado di fare con l’animazione».
Come riempie le giornate?
«In teoria dovrei lavorare al mio nuovo libro, per Bao Publishing. Mi sono dato l’obiettivo di almeno venti pagine a settimana. Non vorrei ridurmi all’ultimo, come sempre».
Ma…
«Visto che non so vivere senza autoinfliggermi degli accolli, ho preso questo impegno. E quindi adesso passo domenica, lunedì e martedì a lavorare al libro; e mercoledì e giovedì lavoro al cartone. Non so se durerà, magari finisce con la puntata di questa settimana…».
Quindi ci sarà un altro episodio?
«Mi ero impegnato a continuare fino a fine quarantena».
Però non si sa quando finirà.
«E infatti adesso non me la do più come scadenza».
Mi diceva delle sue giornate.
«Passo moltissimo tempo sui social, per rispondere a tutti i commenti che mi arrivano».
Niente Inno di Mameli dal balcone?
«È una cosa che mi fa orrore. Intendiamoci: non l’idea di fare parte di una comunità. Ma non possiamo attaccarci alla bandiera, perché siamo italiani, e poi spiare i vicini e accusarci a vicenda. Forse servirebbe meno orgoglio nel tricolore e un po’ più di solidarietà ».
Per esempio?
«Capisco l’esigenza di dire alle persone che devono stare a casa. Perché è importante e serve. Ma dirlo con certi toni significa non avere il polso della situazione. Pensiamo a quanto sono piccole alcune case, a quanti ci vivono e anche ai rapporti che ci sono spesso nelle famiglie. La casa può diventare davvero una prigione».
Cos’è che le manca di più?
«I concerti, il cinema e gli amici. Io vivo da solo ed esco unicamente per fare la spesa e per andare a Propaganda».
Niente problemi coi capelli?
«Per fortuna mi raso con la macchinetta, non ho bisogno del barbiere».
Per la spesa come fa?
«Per me è diventata una gioia. Stare all’aria aperta, vedere un po’ di umanità, respirare. È meraviglioso, davvero. Solo che sta cominciando a fare caldo, e ieri un paio d’anziani in fila si sono sentiti male. Non so quanto si potrà continuare così, onestamente».
Quindi per lei non è cambiato molto.
«Non mi sento più un disadattato, se vuole sapere. Prima uscivo un po’ di più, è vero, andavo a correre e vedevo gli amici, ma la mia vita è cambiata sicuramente meno di quanto quella di altri».
Che consigli si sente di dare?
«Quello che dico sempre è che se dobbiamo rimanere chiusi per tanto tempo dobbiamo cominciare ad organizzare le serie tv da vedere. È come quando si va dal nutrizionista. Le serie vanno selezionate e ridistribuite nella giornata».
Qual è la sua dieta?
«La sera le cose migliori. Una o due puntate al massimo, per farle durare di più. A pranzo, le cose un po’ meno impegnative, ma comunque decenti. E poi per riempire il resto della giornata, le cose più leggere, che dimentichi subito».
Che cosa sta vedendo, in questo periodo?
«Sto recuperando la seconda stagione di Westworld. E ho scoperto BoJack Horseman. Mi piacciono un casino».