Corriere della Sera, 8 aprile 2020
A Berselli, che cosa non interessava?
«La tagliatella perfetta, tutta d’oro, è perfino esposta, mi pare alla Camera di Commercio di Bologna: deve avere 7 millimetri di larghezza da cruda e 8 da cotta». E quando te lo raccontava ti chiedevi: ma come diavolo fa a saperlo? Che gli importa, della perfezione della tagliatella? Dove avrà intercettato questo minuscolo dettaglio? Così era fatto, Edmondo Berselli, che dopo un calvario mai così ingiusto se ne andò dieci anni fa. «Con lui se n’è andata una figura molto rara nel panorama culturale italiano», scrisse allora Aldo Grasso, «Un intellettuale capace di raffinate e rigorose analisi politologiche e insieme di vertiginose disquisizioni sulla canzone, sul calcio, su Gatto Silvestro, sul niente».
Un giorno scriveva dell’«homo democraticus» infilando via via una citazione di Zygmunt Bauman e Salvatore Veca e John Rawls e il giorno dopo se ne usciva con Qui, Quo e Qua o un inno a Valentino Rossi che «non ha più i capelli ossigenati e gialli…». E poi l’inchino a Giovanni Paolo II che, alle titubanze di Joaquín Navarro Valls sulla scelta di mostrare o no la crescente fragilità del Papa minato dal Parkinson, rispose «Tutto, mostrare tutto, dire tutto, non nascondere niente». E la disquisizione sulla fama di buona sorte di Romano Prodi: «Il Culo di Prodi è una categoria mitologica. Come tutti i fenomeni meravigliosi, come un monstrum smisurato e stupefacente, come un prodigio preternaturale, una chimera, una fenice, una cometa, il C. di Prodi è un Ente largamente imprevedibile.» E poi l’amatissimo Mariolino Corso, «un dieci camuffato dal numero undici, il cui sinistro prensile umiliava in dribbling e con le “foglie morte” le difese degli anni Sessanta». Non c’era frammento della vita che non stuzzicasse la sua intelligenza, la sua ironia, la sua cultura letteraria e giornalistica coltivata cominciando come correttore al Mulino: «Ho perso qualche diottria, non troppe, e ho imparato tutto ciò che c’è da sapere sugli accenti e gli apostrofi, che si scrive chiacchiere e non chiacchere, scombicchierare e non scombiccherare», ha scritto in pagine inedite pubblicate ora nel libro «Cabaret Italia» da Repubblica e Mondadori. Prima che se ne andasse passò a trovarlo, a casa, Claudio Baglioni. Era sfinito. Le parole però, al cenno di chitarra, le ricordava tutte: «Quella sua maglietta fina / tanto stretta al punto che m’immaginavo tutto…».