Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  aprile 08 Mercoledì calendario

Intervista a Giorgio Diritti

Un’ottima accoglienza alla Berlinale, dove ha vinto per l’interpretazione di Elio Germano, tre giorni in sala e poi lo stop imposto dalle misure di restrizione contro il Coronavirus. Volevo nascondermi, che ci racconta la vita e l’arte del pittore naïf Antonio Ligabue, aspetta tempi migliori per farsi apprezzare dal pubblico, mentre il regista Giorgio Diritti, confinato nella sua casa un po’ fuori Bologna, pensa già al suo nuovo film e ci racconta come sta vivendo la sua quarantena.
Prima di tutto come sta?
«Sto bene, e lo star bene in questo momento è un valore assoluto. Questa esperienza da reclusi ci sta portando a riposizionare molte cose, a trovare un tempo di riflessione interiore, a mettere a fuoco le priorità. Chi è in mezzo alla bufera vive le cose in modo diverso, ma nella “clausura” è racchiusa una grande potenzialità. Abituati a correre e consumare freneticamente, stiamo pensando a quello che è realmente fondamentale. Mi colpivano nei primi giorni il grande silenzio, l’assenza di macchine. È come un piccolo viaggio indietro nel tempo, quando la partecipazione alle cose della vita era più naturale. Oggi siamo confinati in una dimensione dove ognuno di noi si sente parte di un tutto. E i social, di solito affollati di gente che si sente in obbligo di cose anche banali o inutili, sono diventati strumento di grande relazione».
In molte famiglie si è recuperata la dimensione del gioco.
«Molti genitori hanno ricominciato a giocare con i propri figli, una cosa strepitosa. Si è scoperta la possibilità del telelavoro, un’opportunità che spero venga colta da molte imprese e diventi un modo per avere più fiducia nella capacità di autonomia realizzativa e produttiva delle persone, evitando spreco di tempo e inquinamento. Siamo abituati a parcheggiare figli ovunque rischiando di trasformare tutti i loro appuntamenti in un “fare” senza condivisione».
Cosa fa in questi giorni?
«Le cose più scontate: scrivo, guardo film, ascolto musica, faccio ginnastica a casa, lavoretti sempre rimandati, la spesa una volta alla settimana, leggo. Sul mio comodino ci sono Storia dello sguardo di Mark Cousin ed Economia della consapevolezza di Niccolò Branca, ma ho ripreso in mano anche Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, letto molti anni fa. Penso al mio prossimo film con la strana sensazione di aver vissuto un sogno a Berlino, dove Volevo nascondermi era in concorso. Il giorno del debutto è arrivata la notizia dei primi casi di Coronavirus in Italia e da quel momento in poi è stata tutta in salita. Al Festival abbiamo vissuto un’emozione forte, potente, una grande gratificazione dopo anni di lavoro. Aspettavo con gioia di arrivare in sala e incontrare il pubblico, ma non è stato possibile».
Il film è stato nelle sale solo tre giorni...
«Si, e solo a Roma e nel Sud, ma il riscontro è stato comunque molto positivo. Volevo nascondermi passerà alla storia come il film primo in classifica con il più basso incasso e tornerà in sala quando si potrà, ma è difficile immaginare che questo avvenga prima dell’estate. Quando siamo andati da Fazio avevamo ancora un po’ di fiducia sul fatto che si potesse convivere con questa situazione. Dietro le quinte abbiamo incontrato Roberto Burioni che ci ha fatto i complimenti, ma quando ha sentito che pensavamo di far uscire il film nelle sale ci ha detto più o meno: “Davvero? Ma siete sicuri? Forse non avete capito…”. E un brivido ci è corso lungo la schiena».
È proprio vero quello che diceva Elio Germano quando ha ritirato l’Orso per la migliore interpretazione: un premio all’attore è anche un premio al film.
«Lo penso anche io, ma mi fa piacere che lo abbia detto lui. Credo che il film abbia una sua potenza di sguardo e una visione precisa rispetto al personaggio che si racconta. A spingermi a questo progetto, al di là della fascinazione per la figura di Ligabue, è stata l’occasione per fare una riflessione sulla diversità, per mettere a fuoco quanto la banalità dei nostri giudizi ci impedisca di vedere che nell’altro può esserci qualcosa di straordinario, che diventa ricchezza per l’intera comunità. Ligabue è un esempio assoluto, non solo per i quadri che ci ha lasciato, ma anche per quella sua caratteristica umana che il film racconta. Era facile definirlo un po’ matto, ma in quella sua follia c’erano un’acutezza di sguardo, un punto di vista differente e meno stereotipato».
Che feedback è arrivato dalla stampa straniera?
«Ottimo. Le domande erano molto circostanziate, frutto di riflessioni profonde sul film che evidentemente i critici hanno amato per il suo respiro internazionale. Merito anche di Palomar e della troupe che mi ha accompagnato: è bello lavorare con persone che condividono il tuo stesso obiettivo. Il film poi è stato venduto in molti paesi».
La chiusura delle sale ha scatenato un dibattito sulla possibilità di distribuire i film su piattaforma.
«La sala rimane un luogo magico, onirico, dove sei sospeso nel respiro di altre persone accanto a te e rapito in una specie di sogno comune, ma la fruizione via streaming potrebbe funzionare per alcuni film meno spettacolari. Spero che la fine delle misure restrittive ci faccia venire voglia di tornare anche al cinema, ma nel frattempo sarebbe importante fare attenzione ai danni della pirateria, facendo in modo che i film non ancora usciti non finiscano su siti truffaldini».
Questi giorni così strani saranno di ispirazione per molti narratori?
«Senza dubbio, ma sarà interessante scoprire in che modo. Anche a me è venuta voglia di raccontare Bologna vuota, magica e surreale, che fonde bellezza e angoscia. È un momento storico importante, qualcosa ci fa sentire fratelli, parte di una comunità. Anche la nostra spiritualità si è risvegliata, ci sono persone che meditano o pregano insieme, ognuno a casa sua. La preghiera del Papa in una Piazza San Pietro deserta ha lasciato un segno profondo. In questo tempo sospeso anche il ritrovare un senso del vivere e un rapporto con se stessi ha dello spirituale. Ci interroghiamo tutti sul senso della vita a causa del dolore di cui siamo vittime o anche solo testimoni. Penso che questo sia il risvolto positivo della tragedia che viviamo, e che ci offre delle opportunità, come ha sottolineato il Papa quando ci ha invitati e non sprecare questi giorni. L’io lascia il posto al noi».