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 2020  aprile 07 Martedì calendario

Il paradiso fiscale olandese che attrae gli italiani

C’è chi si atteggia a primo della classe quando deve impartire al resto d’Europa lezioni sulla tenuta dei conti pubblici e si oppone agli strumenti di solidarietà tra Paesi europei come gli eurobond, perché a fine 2018 vantava un rapporto tra debito pubblico e Pil al 52,4%: meno della metà del 130% italiano. Ma ha ben poco da insegnare perché quel successo è stato creato diventando un paradiso fiscale e facendo dumping sulle imposte ai danni di altri Paesi dell’Ue. Parliamo dei Paesi Bassi, denominazione ufficiale che dal primo gennaio ha sostituito quella di Olanda. Qui hanno trasferito la loro sede, o hanno costituito società controllate o partecipate, decine di migliaia di imprese europee. Tra queste anche molte società italiane.
Ad Amsterdam dal 2014 ha sede legale Fiat Chrysler Automobiles (Fca), la cui sede fiscale è nel Regno Unito. A Fca da dicembre il Fisco chiede 1,3 miliardi di tasse arretrate per la fusione tra Fiat e Chrysler. Sempre in Olanda ha sede legale MediaForEurope, la holding che ha fuso Mediaset Italia e Spagna, le cui sedi fiscali restano nei rispettivi Paesi. In Olanda Campari ha trasferito la sede legale, mentre quella fiscale resterà in Italia, come pure Cementir, gruppo Caltagirone. Qui hanno controllate o partecipate Eni, Enel, Exor, Ferrero, Prysmian, Saipem, Telecom, Illy, Luxottica, Barilla, Piaggio, Pirelli, Stefanel, Segafredo, Alitalia Sai, Perfetti Van Melle, Tiscali.
Dall’Olanda le società Eni International Bv ed Eni Oil Holdings Bv investono nelle energie alternative in Pakistan e in Kazakhstan, ma secondo Oxfam l’olandese Eni SpA Netherlands è servita per investire in Kenya pagando meno tasse. A un certo punto, il gruppo Telecom Italia aveva in Olanda ben 16 controllate: attraverso una di queste tra il 2006 e il 2007 fece guerra legale alla Bolivia di Evo Morales. Nel 2018 restava solo Telecom Italia Sparkle Netherlands Bv. In Olanda aveva sede sino al 2009 la Giorgio Armani Holding poi rimpatriata, come avvenne nel 2014 anche per alcune società del gruppo Benetton. Su schermi olandesi erano costruite molte operazioni finite nel mirino della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate. Nel 2016 Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, pagarono oltre 400 milioni per “rimpatriare asset”. Stessa sorte per la famiglia Bulgari, accusata di aver trasferito all’estero 3 miliardi di euro a consociate svizzere, irlandesi e olandesi, che chiuse il caso pagando 57 milioni.
Il motivo è semplice: secondo uno studio del 2018 della Commissione europea, i Paesi Bassi con altri membri della Ue hanno voluto tasse molto basse sulle imprese per attrarle dall’estero. Anche secondo le organizzazioni non governative Oxfam o Shareholders for Change l’Olanda è tra i paradisi fiscali più aggressivi al mondo. Secondo un rapporto sulle società di comodo olandesi realizzato nel 2018 dal Centro studi del Parlamento europeo, in Olanda nel 2015 lo stock di investimenti esteri diretti era pari a oltre 3.250 miliardi di euro: il 535% del Pil. La somma nel 2017 aveva toccato il record di 4.830 miliardi di euro, ma solo 770 erano entrati davvero nell’economia locale: gli altri 4mila miliardi erano finiti in società di facciata in modo da evitare il Fisco dei Paesi dove erano stati creati. Una gigantesca partita di giro traghettata dentro e fuori i Paesi Bassi solo per sfruttare una fiscalità di vantaggio.
Nei Paesi Bassi così sono stimate circa 15mila società paravento. Quattro quinti di queste non avrebbero alcun tipo di attività ma servirebbero solo come copertura fiscale, ad esempio a ridurre le imposte sui dividendi per oltre 1,2 miliardi l’anno. Secondo un report della Commissione Ue, anche grazie a questi schemi fiscali gli altri Paesi europei perdevano base imponibile – stimata in 50/70 miliardi l’anno – dirottata, oltre che nei Paesi Bassi, verso Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Cipro e Malta. Secondo la relazione del Parlamento europeo sullo stato fiscale dell’Unione (marzo 2019), anche grazie ad accordi fiscali “sartoriali” per le multinazionali, la base imponibile sottratta agli altri Paesi Ue veniva stimata tra i 160 e i 190 miliardi l’anno (circa 20 miliardi la quota italiana).
Ma a settembre l’Olanda ha introdotto restrizioni alla deducibilità di particolari perdite societarie che avevano spinto molte società estere a trasferire la sede fiscale. Da dicembre poi ha recepito la Direttiva europea Dac6 sugli intermediari fiscali del 25 giugno 2018, che sarà applicata in Europa dal primo luglio. Le nuove regole individuano e scambiano automaticamente tra autorità fiscali dei Paesi Ue indicatori di evasione ed elusione fiscale. Da luglio si capirà se l’Olanda continuerà ancora a dare cattivo esempio.