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 2020  aprile 07 Martedì calendario

La fuga degli stranieri dal debito italiano

L’esplosione della spesa pubblica a debito è una delle poche certezze della primavera italiana con Covid-19. Servono compratori: ma l’andamento del mercato da febbraio mostra più che altro la fuga dei fondi stranieri, arginata dalla Banca centrale europea. Che nel solo marzo ha comprato 12 miliardi di euro di Btp.
Nel dibattito pubblico si moltiplicano le “chiamate della patria” – di operatori e politici che vanno da Giulio Tremonti al viceministro del Tesoro Antonio Misiani – per varare emissioni di lungo termine che riportino gli italiani sul Btp negletto. Nell’attesa conviene rivedersi le serie storiche aggiornate, in cui il debito nazionale, con traiettoria avviata nella crisi finanziaria 2007, è uscito dalle tasche dei “Bot people” per entrare in quelle, meno spontanee, delle istituzioni finanziarie italiane e della Bce. A fine 2019 – ultimi dati aggregati Abi sulle serie Bankitalia – imprese e famiglie italiane detenevano un mero 5,8% dei 2.409 miliardi di euro di titoli e prestiti pubblici. Una frazione del 22,4% di fine 2007, prima che troppe crisi le allontanassero dai titoli del Tesoro. Prima l’ottovolante dello spread che deprezzava i Btp, poi il provvido taglio dei tassi Bce, con cui Mario Draghi ha salvato l’euro, ma ha azzerato il rendimento ai risparmiatori. I programmi di acquisto di titoli partiti nel 2014 hanno moltiplicato i portafogli di Bankitalia ed Eurotower: dal 3,8% del 2007 al 19,5% di dicembre scorso. E la quota è in forte ascesa: uno studio di Unicredit prevede che nell’Eurozona quest’anno saranno emessi fino a 970 miliardi in titoli sovrani contro il Covid- 19, e circa 600 li comprerà la Bce. L’Italia, uno dei Paesi dove gli acquisti Bce non hanno più vincoli, quanto meno rispetterà il rapporto: il mercato stima fino a 350 miliardi di maggiori aste del Tesoro, destinate per oltre 200 tra Roma e Francoforte.
Tra banche centrali e uomo della strada stanno gli operatori di mercato. Da una parte gli investitori “non residenti”, scesi da un 39% del 2007 al 28,8% 2019: e alla percentuale va tolto oltre un quinto, che rappresenta la parte esterovestita di risparmio gestito italiano basato in Irlanda o Lussemburgo. Si scende sui 500 miliardi effettivi: un 20% circa del totale. Siamo ai minimi dal 1998, e stiamo calando: una nota di Alpha Genesi sulle posizioni derivate in titoli governativi registra «la drammatica e diffusa contrazione dal 20 febbraio, specie su contratti Btp, storicamente sostenuti da una base di investitori che ora esce dal mercato». Da inizio crisi le posizioni compratrici a termine sul Btp 10 anni si sono dimezzate: – 45%, come e più che i titoli francesi, mentre il Bund tedesco denota maggior tenuta. Molti venditori sono fondi stranieri, che hanno cavalcato per anni la cedola italiana, ghiotta come e più di Paesi a rischio come la Grecia. Sempre Unicredit stima che quasi metà dei detentori esteri di Btp siano «hedge fund, fondi pensione e assicurativi e altri gestori, con approccio molto dinamico e che per primi tendono a vendere quando il mercato si gira». Come nel 2018, quando nacque il primo governo Conte. Se il film si ripete, «la questione di chi comprerà il debito italiano sarà ancor più impellente, perché banche centrali e investitori nostrani dovrebbero farsi carico anche delle quote estere in vendita”, aggiunge Unicredit. Le banche italiane, passate dal 22,4% al 26,5% in 12 anni, anche ora non mollano la presa, con piccoli arrotondamenti qua e là: tanto che il ministro Roberto Gualtieri, nel comitato esecutivo Abi del 18 marzo, ne ha lodato il sostegno. Al loro fianco, assicurazioni e altri intermediari italiani, ancor più saliti dal 2007 fino a un quasi il 20% del totale. La crisi dei debiti sovrani 2011 però ha già proposto i danni che la spirale debito pubblico-banche private può produrre, quando lo spread sovrano s’allarga. Varrebbe, più o meno per l’eroico risparmiatore patrio.