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 2020  aprile 07 Martedì calendario

I discorsi dei leader europei nell’ora più buia

L’emergenza del coronavirus ha obbligato i principali leader europei a fronteggiare politicamente una crisi inaspettata e a gestirne il forte impatto sulle popolazioni. 
Giuseppe Conte l’11 marzo, Pedro Sanchez il 14, Emmanuel Macron il 16, Angela Merkel il 18 e, buon ultimo, Boris Johnson il 23 marzo, si sono così trovati di fronte alla prova del «discorso dell’ora più buia». Espressione utilizzata da Winston Churchill il 18 giugno del 1940 alla House of Commons di Londra, durante l’attacco tedesco all’Inghilterra. Per Angela Merkel si tratta dell’unico intervento, per altri di quello in occasione dei provvedimenti più drastici e dunque a più alta componente drammatica. Un momento solenne, destinato ad essere richiamato negli anni, nel quale si misurano la tempra e il carisma del leader. Premesso che le finalità dei discorsi erano praticamente le stesse, che cosa hanno detto, con quali toni e immagini questi 5 leader si sono rivolti alla nazione? 
L’analisi dei discorsi riflette le loro personalità e mette in luce registri comunicativi e visioni di leadership molto differenti. A partire dagli incipit e dai commiati. Informale e diretto Boris Johnson: «Buona sera» e «Grazie». Altamente istituzionale Macron: «Francesi» e «Viva la Repubblica, viva la Francia». Particolarmente premurosa la Merkel che esordisce con «Cari concittadini» e chiude con la raccomandazione «abbi cura di te e dei tuoi cari». Mentre Conte e Sanchez, alle prese con le situazioni più gravi, chiudono entrambe con una esortazione: «Tutti insieme ce la faremo» e «Uniti vinceremo il virus». 
Dall’alto dei suoi 15 anni alla guida della Germania, più che da capo dell’esecutivo parla da padre nobile della Patria. Nel suo discorso poco spazio viene dato alle spiegazioni delle norme e delle limitazioni introdotte. Merkel chiama alla condivisione delle decisioni, ne spiega le ragioni, fa appello al senso civico e comunitario, dimostra di comprendere le difficoltà materiali e psicologiche dei suoi concittadini. Nel suo discorso affiorano i sentimenti, si parla di incontri negati, della vulnerabilità della vita e delle relazioni sociali di fronte al progredire dell’infezione. Invitando tutti «a trovare modi per mostrare affetto e amicizia: Skype, telefonate, e-mail». Senza retorica, o autocelebrazioni nazionaliste. E c’è anche spazio per una confessione autobiografica sulla sofferenza patita in gioventù per l’assenza di democrazia, che è il momento più alto e sentito del discorso.
Il registro del discorso del leader britannico, il più breve di tutti, rispecchia la secchezza dell’esordio e dei saluti. L’intento principale è comunicare nel dettaglio le nuove norme che segnano una completa inversione nella linea precedentemente adottata da Boris Johnson. Un discorso essenziale, che sottolinea la gravità del momento, con poche parole di circostanza e ringraziamento. Più informazioni che argomentazioni, più disposizioni che comprensione, pochissimi anche i richiami all’identità nazionale, al senso di comunità. Un solo brevissimo accenno «al disagio che queste restrizioni comporteranno alle vostre vite». Boris Johnson non è empatico, non comprende, comunica e dà disposizioni. Pragmatico e sintetico in perfetto stile british.
Il lungo discorso del premier francese è prevalentemente incentrato intorno a tre funzioni. Innanzi tutto quella drammatizzante. Macron è l’unico dei cinque leader a parlare espressamente di guerra, ripetendo per ben 6 volte «Nous sommes en guerre». Il secondo aspetto, normativo, è informare i francesi sulle nuove disposizioni che inaspriscono quelle illustrate solo quattro giorni prima in un altro discorso alla nazione. A questi aspetti si affianca un forte componente politica. Macron si dilunga sulla strategia adottata dal governo, le altre iniziative prese o programmate, gli aiuti messi in campo e le modalità di accedervi, garantendo che «Nessuna francese, nessun francese, sarà lasciato senza risorse». L’impressione è quella di un governo attivo, di un leader in possesso di una visione che va oltre la gravità del momento. Una lungimiranza che in verità contrasta con la decisione di far svolgere le elezioni municipali solo il giorno prima, imputata a un non meglio definito «consenso scientifico e politico».
L’intervento di Conte dell’11 marzo, secondo per brevità solo a quello di Johnson, non si presenta nei toni con la solennità di un evento eccezionale, ma piuttosto come una tappa di un dialogo già avviato fra l’avvocato del popolo e gli italiani: «Soli pochi giorni fa vi ho chiesto di cambiare le vostre radicate abitudini di vita... consapevole che si trattava di un primo passo». La strategia qui ribadita è infatti quella di procedere gradualmente affinché tutti possano comprendere il difficile momento che stiamo vivendo. A fianco di questa cautela, la brevità e la mancanza di dettagli sull’applicazione delle norme e sulla strategia complessiva del governo rischiano di conferire al discorso il tono di annuncio. La comprensione per le difficoltà e i ringraziamenti a tutti coloro che si stanno impegnando, si uniscono a un forte richiamo di Conte all’orgoglio nazionale e ai valori solidaristici dell’Italia «Paese che per primo in Europa è stato colpito più duramente... diventando giorno dopo giorno un modello per tutti gli altri». 
Il lungo discorso del premier spagnolo è non solo il drammatico annuncio della dichiarazione dello stato di emergenza, ma la sua lettura integrale, dalle quattro tipologie di misure intraprese dal governo sino ai 10 punti nelle quali si articolano e le loro conseguenze. Una lunga elencazione che affievolisce un pò il ritmo del discorso. Ciò che preoccupa il leader spagnolo è la gestione della crisi in un paese segnato dalla presenza di molte autorità e forti autonomie. Sanchez mira a riaffermare l’autorità del governo centrale, perché di fronte a una tale crisi «non ci sono colori politici, non ci sono ideologie, non ci sono territori. I nostri cittadini vengono per primi». E fra i richiami alla storia spagnola e alla solidarietà reciproca, spicca il riconoscimento agli anziani, ora i più minacciati dal virus, che nel 2008 hanno salvato la Spagna.