Corriere della Sera, 7 aprile 2020
Breve storia del tricolore
Nato il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia come bandiera della Repubblica Cispadana, il nostro Tricolore (ispirato a quello francese) era inizialmente l’emblema degli italiani, non moltissimi, che guardavano a Parigi e agli ideali rivoluzionari del 1789. Ma già nel Risorgimento i tre colori, appartenuti al Regno d’Italia napoleonico fino al 1814, dimostrarono una capacità inclusiva ed espansiva. Tant’è vero che la dinastia dei Savoia adottò quel vessillo, benché la sua origine fosse repubblicana, per porsi alla testa del moto per l’indipendenza nazionale. Da allora il Tricolore ha progressivamente conquistato un significato identitario che va oltre la sua funzione ufficiale, anche se non si è trattato di un processo facile. L’Unità d’Italia aveva aperto ferite (si pensi al conflitto tra Stato e Chiesa), che la forza suggestiva di quei colori, assieme all’istruzione pubblica e ad altri fattori, aiutò a ricomporre. Lo stesso tentativo del fascismo di arrogarsi il monopolio del patriottismo, quindi del Tricolore, non ebbe successo. Eloquente fu a tal proposito dopo il 1945, come suggello della nuova funzione nazionale che il Partito comunista intendeva assumere, la scelta di inserire nel suo simbolo la bandiera italiana, sia pure in secondo piano rispetto a quella rossa. Più di recente la Lega, che in passato aveva preso di mira il Tricolore per delegittimarlo, ha finito per smentirsi e cambiare atteggiamento. Senza alcuna enfasi nazionalista, fuori luogo dinanzi a una minaccia globale come Covid-19, la bandiera italiana si può dunque considerare un simbolo d’identità e concordia per tutto il Paese, impegnato in una prova ardua.