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 2020  aprile 06 Lunedì calendario

Investire nel reddito fisso a caccia del valore perduto

I crolli e i rimbalzi delle Borse catturano l’attenzione. Ma il Covid-19 ha importanti ripercussioni anche per il reddito fisso perché la crisi ha colpito quando il debito complessivo dei Paesi (Stato, famiglie e imprese) era ai massimi storici, con tassi e spread di credito ai minimi.
Il contenimento della pandemia ha drasticamente ridotto i flussi di cassa a famiglie e imprese (redditi e ricavi) creando una gigantesca crisi di liquidità a cui gli Stati cercano di far fronte. Ma per farlo devono finanziarsi collocando una ingente quantità di debito che il mercato non può assorbire: saranno dunque le banche centrali ad acquistarlo.
L’eccezione giapponese è diventata la norma. E lo sarà ancora per parecchio tempio perché alla crisi seguirà un lungo periodo di bassa crescita e un ulteriore rallentamento del commercio internazionale per via della riorganizzazione delle catene di produzione; unitamente al crollo di greggio e materie prime, non c’è rischiodi una ripresa dell’inflazione. In questo scenario, un investimento in titoli di stato difficilmente potrà generare un rendimento positivo al netto delle imposte e dei costi di gestione e transazione. Oggi, i Paesi nel mondo che hanno titoli di stato a 10 anni con rendimenti superiori all’1%, e l’inflazione sotto controllo, sono solo Italia, Grecia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Cina. Italia e Grecia comportano il rischio di una nuova crisi dell’euro, visto le difficoltà che incontreranno a riassorbire l’ingente debito emesso in condizioni di bassa crescita. E per i Paesi dell’Europa centrale c’è il rischio di svalutazioni del cambio, necessarie per mantenere competitività rispetto all’economia tedesca in profonda recessione (in due mesi hanno già svalutato in media del 9%).
La Cina è il primo Paese a uscire dalla pandemia, ma non avendo adottato misure eccezionali di espansione monetaria può ancora ridurre i tassi. Negli ultimi mesi, il tasso di cambio del renminbi è stato relativamente stabile (intorno ai 7,8 Yuan nei confronti dell’euro) e non preoccupa l’ingente posizione debitoria in dollari di imprese e banche cinesi, nonostante alla banca centrale di Cina sia precluso l’accesso alle linee swap della Federal Reserve, perché garantita da riserve valutarie di 3.100 miliardi di dollari e 230 di avanzo delle partite correnti. Con il rendimento del decennale al 2,6%, i titoli cinesi sembrano un’oasi di valore nel panorama del debito pubblico mondiale.
Ma il vero rischio è che la crisi di liquidità diventi crisi di insolvenza. Così l’incertezza su durata e gravità dei danni economici dell’epidemia ha fatto schizzare al rialzo le previsioni sul tasso di default delle imprese, causando un crollo dei corporate bonds, accentuato dall’illusione di liquidità del mercato del credito: di fronte ai riscatti e vendite dei sottoscrittori, i gestori hanno dovuto vendere i bond sottostanti a fondi ed Etf in un mercato senza compratori e con poche banche di investimento disposte a fare mercato.
Così, dal 20 febbraio, lo spread sull’indice dei bond Investment Grade (IG) in dollari è aumentato fino a 275 punti (180 gli IG in euro); fino a 750 quello sugli High Yield (HY) Usa (575 gli HY in euro). Gli acquisti di titoli di Fed e Bce, estesi ai corporate bond IG per limitare il razionamento del credito, dovrebbero calmierare ulteriori sostanziali aumenti degli spread sugli IG a fronte del prevedibile diluvio di downgrade a junk. A questi rendimenti i bond IG (in euro o usd) offrono il miglior valore relativo. Non così per gli HY: la crisi porterà a numerose situazioni di dissesto, che non sono ancora scontate negli spread attuali, ancora molto al di sotto dei livelli toccati nel 2008. Non essendo ancora possibile conoscere la fine della crisi sanitaria, né stimare profondità e durata della recessione è probabile che, come per il mercato azionario, anche quello del credito HY non abbia toccato il fondo.