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 2020  aprile 06 Lunedì calendario

Storia delle maschere e delle mascherine

Noi italiani la mascherina la portiamo con gli occhiali da sole. E’ pur sempre primavera, arriverà comunque l’estate. Ci pieghiamo, riottosi, all’impiccio di quella stoffa che ci tappa la bocca, ci soffoca, ci toglie il respiro per conservarcelo impedendo il contagio. Ci rassegniamo, ma non chiedeteci di rinunciare al carisma e al sintomatico mistero. Dunque l’inedita combinazione di mascherina e occhiali scuri ci renderà irriconoscibili. Ci incontreremo per strada e ci saluteremo a caso. Tutti identici, tutti celati. La faccia persa, come si dice di Arlecchino. Che indossa la maschera non per ottenere un altro volto, ma per non averne nessuno.
La maschera, in arte ma anche nel quotidiano, è un mezzo di evacuazione dell’identità. E’ un muso, che ci fa bestie, o anche dei. Ha una valenza magica, è uno strumento che produce metamorfosi, ha un’energia segreta e oscura. La maschera non è mai innocua, chiunque stia per infrangere la legge camuffa il proprio volto, per non essere riconosciuto. Indossa una maschera il rapinatore, un passamontagna qualsiasi o addirittura un’immagine terrorizzante che si somma alla già terrorizzante cancellazione del volto. L’urlo di Munch, la riproduzione del volto di Guy Fawkes, (membro della Congiura delle polveri che tentò di far esplodere la Camera dei Lord a Londra nel 1605) l’uomo con baffetti che ride, quella del film V per vendetta. Tutti i super eroi sono mascherati, per non farsi riconoscere e proteggere il segreto della loro doppia vita, o per prendere le sembianze dell’animale al quale devono i loro poteri. In battaglia i guerrieri sono mascherati, per salvare il volto e intimidire l’avversario. Smascherare qualcuno significa costringerlo alla verità, eppure la maschera e l’individuo in origine erano indicati con la stessa parola: persona. 
Il termine masca compare per la prima volta nell’editto di Rotari, nel 643 dopo Cristo. Masca come sinonimo di Striga, spirito maligno in corpo femminile. Non è sicuro che origine abbia il termine masca, potrebbe significare colui che borbotta (da mascar, in provenzale) ma anche, dall’arabo masakha, chi ha il dono di sapersi trasformare in animale. Quel che è certo è che la maschera è indissolubilmente legata alla morte. E’ il filtro più o meno sottile che ci divide dall’eterno. Anche quando la combatte, come abbiamo visto accadere a quegli uomini e quelle donne tornati dal viaggio nella terapia intensiva, preservati dentro maschere enormi che garantivano il respiro. O quando ci immergiamo nel mare, la bocca collegata alle bombole, gli occhi costretti a quella vista acquosa, imperfetta. 
Le nostre maschere sociali saranno quadrati di garza, o di stoffa, più o meno accessoriati con valvole e strati, appesi alle orecchie. Le indosseremo uscendo, le getteremo dopo averle consumate. Come un paio di guanti di lattice, come un preservativo, come il fodero delle nostre mucose, dei polmoni. Come se dietro quelle maschere non ci fosse l’unica cosa in cui abbiamo sempre creduto: di essere un po’ speciali, o almeno di essere un po’ speciali per qualcuno.