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 2020  aprile 05 Domenica calendario

Intervista a Claudio Ranieri

Claudio Ranieri, romano, 68 anni, con la sua Samp è il decano degli allenatori in Serie A. Particolare curioso, da tecnico non ha mai perso un derby, ma a colpire è soprattutto l’infinito palmarès, non solo lo storico titolo d’Inghilterra con il Leicester nel 2016, con il premio di coach dell’anno per la Fifa. Un lungo rosario da cui i più estrapolano Coppa Italia e Supercoppa Italiana con la Fiorentina e Supercoppa Europea e Coppa del Re col Valencia, anche se non sono briciole i tre secondi posti con Juve, Roma e Monaco in Ligue 1, le qualificazioni a Champions ed Europa League, le promozioni in B o in A, le miracolose salvezze con Cagliari e Parma, fiori all’occhiello di un "testaccino" giramondo, protagonista sulle panchine dei principali campionati europei.
Ranieri, innanzitutto come sta?
«Bene, fortunatamente. Nessun problema con il coronavirus. La domanda un po’ mi fa sorridere: sa perché? Un tempo lo si chiedeva per educazione, approccio a volte retorico, ora, con la tragedia che stiamo vivendo, è un interrogativo fondamentale».
Con la Sampdoria poi non ne parliamo. Otto giocatori positivi.
Ha avuto paura?
«Preoccupazione. Doverosa. Di fronte a una malattia invisibile, che non sai come combattere. La mia società ha deciso di essere trasparente, chissà se siamo stati realmente i più colpiti, ma un po’ di ansia era inevitabile. Mi sono tranquillizzato sentendo la voce serena dei miei giocatori e i loro racconti. Tutti con poca febbre e nessun danno alle vie respiratorie».
Pronti a riprendere il campionato allora?
«Calma. Il governo può dire ricominciamo o no, ma spetta ai medici deciderlo. Si è capito che questo virus può dare complicazioni al cuore: prima di tornare ad allenarsi, vale per la Samp e per tutte le squadre, è dovere dei medici ridare ad ogni atleta l’idoneità completa. Non solo una visita generale, ma approfonditi controlli cardiaci.
Con la salute non si scherza».
Qualche club, Lazio, Napoli, vuole già tornare in campo.
«Prematuro. Ha fatto bene il presidente Conte a emanare quel decreto sul divieto agli sportivi professionisti, in modo da togliere idee strane. Di fronte alle migliaia di morti, in questo momento i giocatori hanno un solo dovere: stare a casa. Non basta applaudire medici e infermieri, chiamarli eroi.
Aiutiamoli per davvero».
I presidenti sono divisi. C’è chi vorrebbe la ripresa e chi lo stop definitivo.
«Io sono cresciuto con il pallone, frequento questo mondo da 50 anni. Mai direi no a una partita. Ma in un’emergenza come questa bisogna essere seri. Non entro nella polemica, dico cosa dobbiamo aspettarci alla ripresa: chi è stato colpito dal virus, durante i primi allenamenti si sentirà fiacco. Come ha detto il mio presidente Ferrero un giocatore non è una macchina che si spegne e si riaccende, prima di tornare a giocare ci vorranno settimane di preparazione. Sarà peggio di un ritiro estivo, perché c’è l’aggravante, per chi è stato contagiato, della malattia. E prima del campo, insisto: massima sicurezza. Poi, dopo il via libera, starà all’allenatore e allo staff capire chi può reggere una gara e chi no. Tra l’altro si ipotizzano 3 partite a settimana, tutte a pieno regime. Cosa già difficile prima che arrivasse il coronavirus».
Significa che la Serie A per quest’anno è finita?
«Non ho detto questo, non lo so.
Giudico la realtà: l’Italia è sommersa come se fossimo in guerra. Gli ospedali delle grandi città in ginocchio: pensi quelli di provincia o se il dramma del Nord fosse capitato al Sud, con strutture meno idonee e ricettive. Senza contare che le trasferte sono viaggi e in Italia non ci sono più zone franche. Quando luoghi e alberghi saranno sicuri? Si parla di gare in campo neutro, escludendo qualche regione. Non sono d’accordo: o si riprende tutti o nessuno».
Giocare a porte chiuse?
«Non è calcio, è la sua morte, ma se è l’unica via l’accetteremo. Non ora però: ficchiamocelo in testa, a fine partita il sistema immunitario di un calciatore si abbatte. Con una gara ogni tre giorni il quadro può essere devastante».
Come sta passando la quarantena volontaria?
«In casa, nel centro di Genova, con mia moglie Rosanna. Non esco dal 10 marzo, quando sono rientrato dall’ultimo allenamento.
Tranquilli, non faccio jogging.
Sorrido quando in tv vedo gente che corre nei parchi. Siamo diventati un popolo di maratoneti.
Non si può e basta, smettiamola di complicare il lavoro di chi ci deve curare, io leggo libri. Mi butto sulla Settimana enigmistica, guardo la tv, vedo partite e mi aggiorno. Non assillo i miei giocatori: hanno una chat di squadra, leggo tutto, mi faccio sentire una volta alla settimana, non voglio star loro addosso. Ogni giorno con il mio staff mandiamo il programma di lavoro. Ho fatto eccezione soltanto per i malati: con loro ho parlato di più».
Non si sente un leone in gabbia?
«Come tutti, credo. Genova è un posto meraviglioso e io vivo dentro al suo cuore. Nella mia carriera mi è sempre piaciuto mischiarmi alla gente, sentire addosso la loro passione, essere coinvolto, fare parte della città in cui lavoro. Ma ora bisogna rinunciare, posso solo affacciarmi alla finestra. Le direttive sono severe, è difficile accettarle in un Paese democratico. Ma in battaglia si seguono le regole».
In altre parti del mondo non tutti si comportano così.
«Ho amici dappertutto, la paura ormai è mondiale. Anche in Spagna e Inghilterra sono spaventati. Mi raccontava un collega che in Ecuador, a Guayaquil, bruciano i morti per la strada».
D’accordo sulla riduzione degli stipendi a calciatori e tecnici?
«Non sappiamo se il campionato riprenderà, parlarne ora ha poco senso. Credo che i calciatori non si siano mai tirati indietro, la Sampdoria ha fatto un’importante donazione al San Martino, ospedale in prima linea. Siamo gente seria, se c’è da contribuire a un Fondo di Solidarietà per tutelare i calciatori di C e D io sarò il primo. Non sono avido. Ma ora ogni tesi è teoria, la situazione è troppo nebulosa. Per esempio: le tv pagheranno tutti i diritti o una parte?».
Scudetto d’ufficio alla Juve?
Blocco retrocessioni? Prossima Serie A a 22 squadre?
«Federcalcio e Lega, spetta a loro decidere. Io faccio l’allenatore. In emergenza purtroppo creare scontenti è facile. Solo un’eccezione: lasciare in B il Benevento con 22 punti di vantaggio non si può».
Nel prossimo campionato resterà alla Samp?
«Sicuro. Empatia totale con l’ambiente e un anno di contratto. Sempre che il presidente sia d’accordo…».