la Repubblica, 5 aprile 2020
La regola della sottomissione
La pandemia come pretesto per un maggiore controllo sociale, e per una stretta delle libertà individuali. È una tesi che circola sempre più spesso – mano a mano che si protraggono le misure restrittive – con varie modalità, alcune più serie e rispettabili (Noam Chomsky), altre più paranoiche. L’obiezione che mi sento di fare è questa: il tasso di “controllo sociale” è più alto con gli ipermercati vuoti o con gli ipermercati pieni?Ammesso e concesso che esista un comportamento sociale prediletto dal potere economico, una specie di Regola della Sottomissione, è rimanere chiusi in casa o è uscire di casa e consumare? I “corpi docili” di cui scrisse Foucault nel suo Sorvegliare e punire siamo noi, reclusi e ascetici, in questi giorni, o sono quelli che si mettono in coda per il nuovo smartphone (quello “vecchio” al massimo ha un paio d’anni)? Ci fa più paura che Google Maps fotografi la nostra puntiforme immobilità, oppure che ci insegua ovunque, e rivenda a chiunque i nostri spostamenti in modo da definire meglio la nostra fisionomia di consumatori?Ogni preoccupazione, a proposito di condizionamento sociale, è lecita e importante. Ma un poco sorprende questo aumento d’ansia a proposito dei nostri sacri diritti oggi che almeno esiste, come impedimento, una evidente causa di forza maggiore; mentre in tempi normali il condizionamento sociale (chi non consuma è un disertore!), il pedinamento del web ai nostri danni, il conformismo spietato nei comportamenti di massa, erano componenti stabili, e poco discusse, della nostra libertà.